giovedì 31 ottobre 2013

LA MENTE CREA IL MONDO

"La mente crea le ore, i minuti, i secondi; 
crea gli anni e gli eoni, ma tutti questi dati non sono altro che sue concettualizzazioni effimere, cristallizzazioni per sentirsi tranquilla e rassicurata. Essa produce immagini per propiziarsi sicurezza e perpetuità, ma altresì [crea] conflitto e miseria. Non afferrando il senza-tempo, che è Assolutezza, plasma costrutti formali per compensare la propria incompiutezza".
Raphael - ALLE FONTI DELLA VITA





La mente [manas] ha la funzione di creare immagini.

I sensi trasportano impulsi elettrici e la mente li trasforma (attingendo al ricordo e all'immaginazione) in forme e colori.
Per percepire queste immagini e considerarle "altro da sé" è necessario  ahaṅkāra
, "ciò che fa l'io", la "funzione dell'organo interno" specializzata nella creazione della dualità soggetto-oggetto.
Senza le nozioni di spazio e tempo sarebbe difficile per ahaṅkāra svolgere i propri compiti.
La conoscenza della realtà  passa per la discriminazione tra soggetto e oggetto.
In altre parole l'apprendimento necessita dell'esperienza e se non ci fosse ahaṅkāra non ci potrebbero essere esperienze soggettive.
Per "conoscere" devo avere un punto di riferimento e per avere un punto di riferimento dovrò averne fatto esperienza in precedenza.S
e TI guardo significa che TU sei ed IO sono qui.
Devo quindi avere esperienza del qui.

Se TI guardo significa che tu sei "lì ora", in questo momento.
Se non fossi "lì ora", non potrei guardarti.



Supponiamo di osservare la nostra immagine riflessa in uno specchio:
potrò sapere di essere IO da questa parte e di essere l'IO agente (guardare è un azione) perché ho l'esperienza dello stare qui, e se sto qui, ovviamente non posso stare lì (dietro lo specchio) contemporaneamente.

Se non avessi il concetto (la nozione) di spazio non potrei sapere quale delle due parti dello specchio ospiti l'IO agente.
E dovrò pure conoscere la mia immagine riflessa, devo averne avuto esperienza perché se non mi fossi già visto in uno specchio non potrei affermare che quella è la "mia" immagine riflessa.
La mente attinge alla memoria per creare e riconoscere le forme.

Se un dato non è stato archiviato non è "riconoscibile" e questo vuol dire che possiamo conoscere e imparare solo ciò che già sappiamo.
Strano, ma vero.Analizzare la propria immagine allo specchio è esercizio assai utile (ognuno si diverte come può...).
Io per esempio, in questo momento,"indosso una maglia blu" e g
ià questo può essere spunto di una riflessione intrigante: come fa lo specchio a riflettere il colore blu?
Di certo c'è una sorgente di luce che illumina la mia immagine.
Facciamo una prova:
spengo la luce e non vedo più né lo specchio né, tanto meno, la mia immagine riflessa.
Se prendo un riflettore, lo accendo e lo punto contro lo specchio, questo rifletterà la luce e probabilmente, non vedrò niente lo stesso perché  rimarrò abbagliato.

Lo specchio è  un qualcosa che riflette  perché è "impermeabile" alla luce  "come le foglie del loto lo sono all'acqua"
I fotoni rimbalzeranno sulla superficie dello specchio come le gocce di pioggia rimbalzano sulla foglia di loto.
Adesso piazzo il riflettore dietro di me.
Ciò che vedrò sarà la mia silhouette "in controluce".
Il mio corpo ha una sua massa ed una sua densità e, di conseguenza,  in parte assorbirà ed in parte rifletterà la luce.
Se posiziono il riflettore in maniera che mi illumini da davanti o di lato potrò, invece, vedere il mio corpo riflesso nello specchio.
Evidentemente ciò che vedo è un riflesso luminoso, una luce bianca che a contatto del mio corpo si colorerà, acquisterà cioè "qualità".

Torniamo alla mia maglia: perché il colore blu  viene riflesso nello specchio?
Perché la mia maglia "assorbe il colore arancio" e "respinge il colore blu".

 

Esistono tre colori cosiddetti primari: giallo, rosso e blu che mescolati tra loro danno il colore bianco.

Mescolandone due alla volta si ottengono invece i colori "complementari" o "secondari": 

GIALLO + ROSSO = ARANCIO

GIALLO + BLU = VERDE

BLU + ROSSO = VIOLA.


Se nello specchio vedo riflesso il colore blu  significa che l'oggetto (la maglia) colpito dalla luce assorbirà gli altri due colori primari, il giallo e il rosso.

L'azione del guardare la mia immagine riflessa nello specchio  (dando per scontata la necessità della mia presenza) dipenderà:

1) dall'esistenza di una superficie riflettente.
2) Dall'esistenza di una sorgente di luce.
3) Dalla posizione nello spazio di questa sorgente di luce.

La percezione dell'immagine riflessa sarà inoltre condizionata dalla natura dell'oggetto riflesso.
Se la maglia non avesse la proprietà di assorbire il colore arancio (giallo e rosso) non potrei percepire il colore blu.

Riassumendo, la percezione di un oggetto dipende da una sorgente di luce (conoscenza) esterna a noi, dalle coordinate spazio temporali e, naturalmente, dalla nostra capacità di percepire.
La qualità (il colore) di un oggetto dipenderà dalla sua natura intrinseca, dalla sua  capacità di assorbire o riflettere la luce/conoscenza.
Se il percepire dipende dall'esistenza della luce/conoscenza, la qualità, il colore dell'oggetto, invece non dipende in nessun modo dalla luce, ma da qualcosa che è proprio dell'oggetto.
Banalizzando si può dire che la qualità della maglia blu dipende dalla sua interiore "aranciosità".
La maglia trattiene la luce arancione e riflette/respinge la luce blu.

Ciò che viene percepito di un oggetto sarà quindi  non quello che "è", ma quello che viene filtrato dalla "natura" dell'oggetto.
Se "io" sono oggetto di conoscenza, ciò che potrà essere percepito da un "soggetto conoscitore" sarà la luce originaria filtrata dalla mia natura intrinseca, cioè dal "corpo interno" (mente, memoria, intuizione....)
A sua volta il soggetto percepente,  per poter fare l'esperienza della "conoscenza di me" dovrà fare appello alla sua memoria.

Il risultato sarà un immagine prodotta dal passaggio del riflesso della luce/coscienza attraverso due filtri "colorati": 
il primo è  formato dalla memoria (citta) del soggetto percepente  il secondo dalla vera natura (svarūpa) dell'oggetto percepito.
Tenendo conto della teoria dei colori primari e complementari, ciò che di me 
verrà percepito all'esterno sarà quello che non è assorbito dalla luce/coscienza.
È la memoria (citta
a dare apparente qualità alla luce bianca della coscienza/conoscenza.
È dalla memoria (citta) che procedono le qualità fisiche (alto, basso,grasso, magro, bianco, nero....), le qualità morali ( onestà, disonestà, bontà, cattiveria, umiltà, superbia....), le sensazioni (dolore, piacere,freddo, caldo.....), le emozioni( rabbia, calma,gioia, tristezza .....).
La natura della  luce bianca non è in nessun modo toccata dalla natura degli oggetti né è responsabile in alcun modo della colorazione degli oggetti.
La luce bianca permette di vedere.
Il "cosa" vediamo dipende esclusivamente da noi.

mercoledì 30 ottobre 2013

PROIEZIONE E QUALIFICAZIONE

Accade a volte che persone di grande intelligenza accostandosi al pensiero indiano riescano ad avere una panoramica generale, a volte approfondita, del maestoso impianto filosofico del non dualismo.
Le gocce di "psichico" che in loro emergono dalla maschera del corpo fisico gli fanno credere di "essere".
Quando queste gocce per una serie di motivi inesplicabili si ritirano lasciando solo la comprensione intellettuale può nascere una specie di rabbia di disperazione addirittura di isteria. 




Questo conduce spesso ad interminabili discussioni sul sesso degli angeli, altre al tentativo di proporsi come maestri illuminati o creatori di nuove filosofie e religioni.
C'è una specie di ironia nella qualificazione (Lila?).
Ci sono yogin che vivono certi stati di alterazione percettiva, sperimentano la rottura dei livelli dell'io e rifiutando la cosa, cercano delle teorie consolatorie, delle giustificazioni scientifiche e lottano contro le forze che attraggono il loro "centro magnetico". 
Altri dotati di grande cultura e sensibilità desiderano ardentemente quelle  esperienze e finiscono per "immaginare di essere" oppure per sorprendersi della assenza di riscontri. 
La maggior parte degli yogin  fa determinate esperienze senza nulla sapere di corpo psichico, di yoga, di rottura dei livelli dell'io. 
Alcuni sperimentano l'identità sostanziale dell'uno e dei molti. 
uno stato in cui l'ego non ha più nessun significato.
Questa assenza, magari momentanea, del senso di identità indissolubile, base del pensiero occidentale di matrice cristiana, se non supportata da insegnamenti che vengono definiti talvolta "tradizionali" può condurre alla follia o alla presunzione della follia. 
Coloro che hanno sperimentato senza sapere si vedono costretti a cercare le parole per dirlo e si rivolgono a quelle tecniche, a quei libri verso i quali li spinge la loro coscienza/ricordo/sogno. 
Le parole non esprimono mai, perfettamente ciò che si sperimenta, e se sono parole di maestri e istruttori solitamente si rivolgono a quei pochissimi che sono in grado di recepirle.
Così ci si inventa una terminologia per spiegare ciò che in realtà non è possibile spiegare. 
Probabilmente certe frasi, frutto di esperienze reali, di Shankara, di Gaudapada, di Patanjali, di Lao Tse sono dedicate ai quattro, cinque allievi in grado di comprenderle. 
La loro grandezza, il loro, "livello coscienziale" fa sì che tutti noi, leggendo o ascoltando, sentiamo una specie risonanza, pensiamo di capire e comprendere, ma è difficile che tutti noi 1000 e diecimila siamo quei quattro o cinque. Conoscersi.
Comprendere.
Essere.
Cominciamo con il conoscersi. Conosci te stesso dicono tutte le scuole tradizionali, ma conoscere se stessi è come sollevare il mondo. Archimede diceva che bastava un punto d'appoggio per sollevare il mondo. 
Questo punto è il nostro cuore.
Il maestro, il libro, la tecnica sono solo dei cartelli indicatori, degli stimoli.
Il vero lavoro è individuale.
Non bisogna, dicono i testi chassidici, tentare di sollevare il mondo con due punti d'appoggio. Proiettare su un altro o su una disciplina o su un libro la speranza e la volontà di conoscere se stessi provoca dolore e sofferenza.
Un bravo istruttore può insegnarti a fare l'alpinista, non può scalare per te il monte Meru

LE QUATTRO DIMORE

Si dice che l'Uomo abiti in quattro case contemporaneamente. La prima, che abita e "vive" allo stato di veglia, è la dimora del corpo fisico
La seconda, stato di sogno è la dimora del corpo psichico.
la terza,  stato di sonno profondo è la dimora del corpo causale
e la quarta, la più misteriosa la dimora del corpo germinale



Il corpo psichico ha a che vedere con ciò che alcuni chiamano anima pur non coincidendo propriamente con essa.
Il corpo causale con ciò che alcuni chiamano spirito. 
Quando si parla di ascesi, di salita, di scalata si parla per metafore, si usano parole che come tali, appartenendo alla sfera del fisico, non possono che dare un'idea approssimativa della realtà delle altre "dimore". Forse, più che di ascesa termine che presuppone la verticalità di un percorso, (quello che va  dalla prima alla quarta dimora) che non può avere coordinate spaziali o temporali, dovremo parlare di successive dissoluzioni e manifestazioni. 
Il corpo psichico ad esempio, tende "naturalmente" a manifestarsi nel fisico. 
Ma si devono sciogliere degli accumuli di grasso, dei detriti. 
Occorre sciogliere dei nodi (granthi).
Potremmo considerare il corpo fisico come una maschera che si è incollata al volto del mascheraio, una maschera che insieme vela ed esprime.
E' impossibile strapparla in una volta sola (cioè è possibile forse con l'uso di certe sostanze psicotrope e con certe pratiche sciamaniche, ma nella maggior parte dei casi ciò conduce alla follia o alla morte prematura) e quindi si procede ad un lavoro certosino lungo, anni, decenni o eoni(!) 
Immaginiamo che il corpo psichico sia una sostanza liquida e luminosa, l'acqua di vita di cui parlano molti testi. 
Il lavoro di scioglimento dei nodi provoca a volte delle fuoriuscite di "acqua di vita" che si manifestano nel corpo fisico. 
Gurdjieff definisce queste fuoriuscite centro magnetico. 
Altri "qualificazione", altri "genio del Buddha", altri voci interiori.
Il termine campo magnetico non è male, perché in effetti queste fuoriuscite di psichico vengono attratte da manifestazioni simili come i piccoli magneti vengono attratti dai grandi magneti (certo occorre rispettare le modalità positivo-negativo/attivo-passivo ma questa è un altra storia).
Il libro scritto dal maestro o da chi è stato vicino al maestro, quella data tecnica, quel canto quella persona attrarranno lo yogin "qualificato" , cioè pronto a ricevere "quel particolare insegnamento"come il richiamo attrae le quaglie.
Le modalità con cui queste "particelle di psichico" vengono attratte da questo o quel ramo tradizionale dipendono da quella cosa che alcuni chiamano ricordi ed altri reincarnazione. 
Probabilmente non c'è nessuna reincarnazione come la si intende comunemente. 
Non c'è nessun Paolo che è morto 100 anni fa che si reincarna in un Paolo di oggi.
E' il karma che si reincarna. 
Sono dei residui coscienziali che si reincarnano, non l'individuo.

ACROBATI DELLO SPIRITO

Il primo scopo dello yogin deve essere quello di conoscersi.
Conoscersi veramente, conoscere i propri difetti, conoscere i propri talenti.
Per entrare in quella intricatissima foresta che è la personalità umana, scoprire la bocca ostruita della "sorgente della conoscenza" e liberarla dai detriti occorre fare affidamento su tutte le proprie capacità e talenti.
Che questi talenti o predisposizioni dipendano da vite precedenti, colpi di fortuna o patrimonio genetico, a questo punto del percorso, "non ce ne po' fregà de meno".



Si devono utilizzare tutti i mezzi che abbiamo a disposizione.
Se siamo sensibili al linguaggio del corpo fisico, all'arte del movimento, all'azione dovremo percorrere quella strada.
Se siamo più sensibili alla voce del cuore , dell'amore inteso come fervore religioso dovremo percorrere quella strada. 
Se invece è la ricerca intellettuale ciò che meglio ci riesce quella sarà la nostra strada. 
Si tratta di mezzi per ripulire la foresta e preparare il terreno alla fuoriuscita dell'acqua. 
Quando si comincerà ad avvicinarci alla sorgente cominceranno ad avvenire dei fatti, delle coincidenze significative, delle situazioni che, pur se sempre nuove e diverse, avranno un sapore particolare ed impossibile da confondere.
Un sapore antico.
Più "antico della Grecia", direbbe un mio maestro di tanti anni fa.
L'insorgere delle situazioni stravaganti (coincidenze significative) è il segno che ciò che alcuni chiamano il maestro interiore, lo psichico o la Persona sta cominciando a farsi vivo. 
Se il terreno è ben preparato piano piano la "Persona"prenderà il controllo e non vi saranno più dubbi. 
L'origine dell'acqua e del velo che impedisce di vedere la sorgente sono le medesime. 
E la forza della natura prima o poi farà comunque emergere l'acqua della sorgente.
Ma lo farà secondo i suoi tempi, ed i tempi della natura sono ben lenti.
La natura non ha nessuna fretta, il suo riferimento è l'eternità.
L'unica cosa che  si può fare  è armarsi di pazienza e cominciare a pulire il "terreno interno". 
Prima della battaglia il samurai controlla bene le sue armi. 
Ma già le conosce, se no non sarebbe un samurai.
La qualificazione sono le armi del samurai. 
Alcuni non sanno nemmeno di avere la spada, ma quando si trovano ad usarla scoprono di aver sempre saputo come si usa.
Alla fine dovranno comunque abbandonare anche la spada. 
Non c'è nessuna differenza tra la spada, la statuetta dell'idolo, il mandala, il sesso o l'astinenza.... 
Visti dall'alto sono tutti giocattoli.

LIGNAGGI E QUALIFICAZIONI

Nel Vedanta e nel Neo Vedanta [e non solo] si parla di lignaggi e qualificazione, come di un qualcosa che permette ad alcuni di comprendere certi testi e di accedere a certi insegnamenti che ad altri sono preclusi.
Accedere non è proprio il termine giusto, visto che con internet tutti possono "accedere" ad "ogniccosa": libri, documenti, diagrammi... Diciamo che, per la teoria della "qualificazione" alcuni, pochi, leggendo un testo  capiscono cosa voleva dire l'autore e ne colgono le "valenze operative", altri, la maggior parte, non capiscono un fico secco.
Si tratta di una concezione un "tantino" elitaria o settaria dell'insegnamento tradizionale, che, però, risponde alla logica del buon senso comune: ognuno ha la possibilità di apprendere esattamente ciò che gli serve.
Supponiamo che dentro di noi ci sia una sorgente di acqua dalle qualità meravigliose e che questa sorgente sia ostruita da una serie di detriti
.


Non si sa che aspetto possa avere la barriera di detriti.
E' diversa per ciascuno di noi, mentre la sorgente è identica.
Supponiamo che la barriera di detriti abbia l'aspetto di una diga.
Un violento colpo di piccone potrebbe provocare una fuoriuscita violenta, uno "tsunami" in grado di spazzare via tutto e tutti.
Lo yoga è (sarebbe?)una via per togliere i detriti e preparare il terreno all'arrivo, dell'acqua della sorgente, limitando le possibilità di frane e inondazioni disastrose.
Occorre costruire canali, ripulire anche il terreno circostante, mettere delle tubature nei luoghi giusti.
Non si sa quando e perché l'acqua sgorgherà dal "sottosuolo".
Si sa solo che,  assottigliando progressivamente la barriera di detriti  aumentano le possibilità di attingere alla sorgente o di avere una visione della purezza delle acque. 

Il lavoro di preparazione del terreno ha bisogno di  calma e perseveranza. 
Quando si dice che il maestro arriva quando il discepolo è pronto, non si fa riferimento ad una persona fisica, ma all'acqua della sorgente interiore. Se si "vede" o ci si bagna o ci si disseta con l'acqua della sorgente non possiamo avere dubbi, ma fino a quel momento non potremo mai sapere se la via che percorriamo è quella giusta. 
Bisogna solo continuare a lavorare, con calma e perseveranza. 
L'acqua arriverà quando è il momento e nel modo che preferisce (il più giusto)
Certi testi, che chiamiamo srutismrti, "ciò che si ascolta" e "ciò che si ricorda"), indicano  attraverso una serie di simbologie e riferimenti le esperienze ed i percorsi psicologici di chi ha portato alla luce l'acqua della sorgente...
Testi preziosi e, di solito, accessibili a tutti. Ma bisogna considerare che tra istruzione e realizzazione non c'è un rapporto di causa effetto.
Non è che  leggendo e studiando a memoria tutti i libri di Shankara  si potrà raggiungere automaticamente  ciò che lui definisce  illuminazione.
Non è che recitando milioni di volte un mantra, o praticando per tremila volte un asana  un praticante di yoga sarà realizzato automaticamente.

Magari, semplicemente, morirà dalla noia.

RINNEGARE IL MAESTRO



"D - Perché tutti cercano i maestri?

R -Perché è più semplice cercare un Maestro che la Verità, è più facile essere servizievoli verso un maestro che verso la verità, è più comodo concedersi ad un altro individuo che alla Verità, è più agevole servire in modo passivo che cercare creativamente e con atteggiamento positivo".

Raphael - "Alle fonti della Vita" - ed. Ashram Vidya pgg.59-60.





Milarepa abbandona la madre, vedova ed indigente, e la sorella minore.
Shakyamuni abbandona il padre anziano, la giovane moglie incinta e le responsabilità del governo.
Vivekananda rinnega (o ha dei dubbi, il che non fa molta differenza) il suo maestro Ramakrishna quando questi è in agonia.
Aurobindo abbandona la giovane moglie per andare a vivere con un'altra donna.
L'Atman è ciò che è, ma ognuno ha una propria percezione della realtà relativa ed una propria visione della via che conduce all'assoluto, solo la realizzazione, dicono, conduce all'assenza di dubbi.
Shakyamuni, Vivekananda, Milarepa, Aurobindo hanno ottemperato al loro dharma-karma?
Chi può dirlo.
"Conosci te stesso e conoscerai il mondo e gli dei", era scritto sul tempio di Delfi, ma è dalla conoscenza di se stesso e solo da quella che si può cominciare la via a ritroso dello svelamento, perché gli altri "non li posso conoscere".
La filosofia realizzativa viene a volte considerata come la via della ricerca del maestro, del guru, ma secondo i testi vedantici, il fine della vita è servire la verità, non  il maestro.
La fede cieca per un maestro o una via  può portare a  giudicare o condannare altri maestri e altre vie.
Servire un'idea, generale o individuale, di legge universale o un sistema filosofico, può condurre a giudicare chi ha, della legge o della filosofia, un'idea diversa.

L'Atman è "Questo". 
E' ciò che è. 
Ciò che non è, il "non questo", a rigor di logica sarà "non atman".
Postulare l'esistenza di un non esistente oltre ad essere brutto dal punto di vista linguistico ("questo e non questo", "atman e non atman" ecc. sono definizioni che graffiano le orecchie e le sinapsi...) significa creare un dualismo bene-male, giusto-sbagliato, bello-brutto, e, soprattutto creano l'illusione di una  possibilità di una scelta.
Ciò che sceglie è la mente.
Ciò che crea il dubbio e porta a scegliere è ancora la mente .
Ciò che crea, con il duplice potere (proiettivo e velante) della Maya, la realtà fenomenica, è  ancora la mente.

La mente è l'origine della schiavitù e, insieme, lo strumento per la liberazione.


La via della conoscenza si intraprende quando ci si comincia a chiedere quale sia il proprio presente.
Noi viviamo, amiamo, percepiamo la realtà perché c'è il sole.
Se il sole non ci fosse non solo non ci sarebbe la luce, ovvero la possibilità di vedere, ma non ci sarebbe neppure la vita come la vediamo noi.

Il sole è una stella.
Senza sorridere e senza imitare la voce acuta di Alan Sorrenti, possiamo dire di essere tutti "figli delle stelle".

Questa stella donatrice di luce/vita, illumina chi abbandona la famiglia e il padre/madre premuroso/a alla stessa maniera.
Il santo e l'assassino, il monaco e il truffatore sono tutti percepibili grazie alla luce della stella che dona la Vita.

Il Sole non giudica, risplende.
E noi tutti godiamo di questo splendore.
Ma ne godiamo "dopo".
Secondo la scienza contemporanea la luce viaggia a circa 300.000 km al secondo.
Il sole dista da noi trai 148 ed i 152 milioni di chilometri (dipende dalla posizione della terra nell'orbita attorno alla stella).
Questo significa che la luce che dà vita impiega più o meno otto minuti per arrivare a noi.

Quando il sole sorge, è già sorto da otto minuti.
Quando è già tramontato noi percepiamo la sua luce ancora per otto minuti.

Viviamo nel passato.
Viviamo costantemente in qualcosa che è già accaduto, che è già stato.
Viviamo in qualcosa che "non è".
Se l'atman è "ciò che è" , quello che noi definiamo vita quotidiana è un qualcosa che percepiamo in ritardo, quindi qualcosa che non è.
Le nostre scelte, le nostre reazioni fisiche e psichiche giungono continuamente in ritardo alla nostra mente sensitiva (sistema nervoso centrale).
Uno stimolo esterno viene tradotto in impulsi elettrici e giunge al cervello in un terzo di secondo.
La risposta del cervello si tradurrà [o non si tradurrà] in azione in un altro terzo di secondo.

Questo significa che la vita è il film che la nostra mente crea in base a ciò che è già stato.
Tutto quello che leggiamo nei libri o ascoltiamo dai maestri e dai filosofi, ovvero che "la vita umana è una realtà relativa", "una sovrapposizione del serpente del divenire alla corda dell'assoluto" ecc... è vero per chi ha realizzato il proprio presente.
Gli altri vivono nel passato e hanno dei fenomeni una percezione falsata dal gap temporale e dalla interpretazione della mente.
Una doppia illusione ci incatena al mondo del divenire.
Arjuna chiede ad krishna un valido motivo per uccidere i propri parenti.
-"Sono già morti"- 

gli risponde l'auriga.
Come il sole illumina alla stessa maniera il buon padre di famiglia o l'assassino e la pioggia bagna indifferentemente il campo arato ed il deserto senza nome, così l'illuminato osserva l'apparenza fenomenica senza giudicare e senza far differenza tra bene e male tra giusto e non giusto.

LE CINQUE SHAKTI

Per il tantrismo del Kashmir, Sat è l'eterno, immutabile.
Cit shakti è l'energia che conduce all'ordine ed alla sua dissoluzione , ovvero la "sorgente dello spazio".
Ananda shakti è l'energia che conduce alla beatitudine ovvero la sorgente dell'Aria
Iccha shakti è l'energia della volontà e del desiderio , ovvero la sorgente del Fuoco
jnana shakti è l'energia della conoscenza ovvero la sorgente dell'Acqua
kriya shakti è l'energia dell'azione ovvero la sorgente della Terra



Le facoltà del parlare, dell'udire, il suono , l'akasha (spazio) e l'organo dell'orecchio procedono da cit shakti, l'intelligenza creativa di Shiva.
Le facoltà del tatto, del prendere, della sensazione del peso e del calore (ecc) l'Aria e l'organo della mano , procedono da ananda shakti, la beatitudine di maha shakti.
Le facoltà della vista, dell'andare, la percezione del colore, il Fuoco, e l'organo dell'occhio, procedono da iccha shakti , il desiderio/volontà di sadashiva.
Le facoltà del gusto, del procreare, la percezione del sapore, l'Acqua, l'organo genitale, procedono da Jnana shakti, l'energia generatrice di Isvara.
La facoltà dell'odorare, dell'evacuare, la percezione dell'odore, la Terra, l'organo dell'ano, procedono da kriya shakti, l'energia dell'agire di sadvidya.
Esistono quindi, cinque principi puri originari - shiva, shakti, sadasiva, isvara, sadvidya - che creano l'esterno da sé tramite cinque energie.
ईश्वर īśvara esplica la sua azione attraverso l'energia della conoscenza (jnana shakti) ovvero attraverso la capacità di discernere tra interno ed esterno, tra Io e Questo, tra aham ed Idam.

IL RITMO, IL PIACERE E LA LUCE INTERIORE

Per la filosofia indiana un fenomeno, per essere, tra virgolette "reale" (non una "lepre con le corna" o il "figlio di una donna sterile" come diceva Shankara) deve possedere  tre "qualità":
अस्ति asti (essenza - "lui/esso/lei" è),
भाति bhāti (luce propria, luce interiore,"effulgenza") e
प्रिय priya (piacevole, amabile, amato, desiderato, voluto).

Priya sta ad indicare la necessità di un fenomeno: un oggetto c'è perché ce ne è la necessità, e la necessità, per gli indiani, è la possibilità di trarne piacere (!).
La luce interiore, la necessità e l'essenza di un fenomeno sono oggettivi: una teiera è una teiera, c'è (ne ho una davanti in questo momento) ed è stata costruita in base ad un precisa idea che emerge dalla sostanziale identità tra forma e funzione
Se qualcuno affermasse che la teiera che ho davanti è un cappello sarebbe un deficiente. O un Marcel Duchamp che si prende gioco dei critici d'arte.




Si può obbiettare che non c'è una necessità assoluta dell'esistenza di una teiera:
si può vivere benissimo anche senza bere il tè e si potrebbe preparare il tè anche se non ci fosse la teiera.

La mancanza di una necessità assoluta ci dice che la  teiera non è un archetipo, non è un'Idea con la I maiuscola, ma è una proiezione/evoluzione, per esempio, della tazza.
La tazza è un contenitore, qualcosa che delimita una porzione di vuoto.
Nel momento in cui si concepisce e si "crea" una tazza (o un bicchiere) il vuoto (lo spazio) da essa delimitato comincia ad apparire diverso dal vuoto non delimitato dalla tazza.
Il vuoto delimitato dalla tazza sarà diverso dal vuoto delimitato dalla tomaia e dalla suola di una scarpa o dai muri di una stanza.

"L'intera manifestazione altro non è che la diversificazione apparente di porzioni più o meno grandi di vuoto (spazio) delimitate in maniera diversa".

La teiera è una proiezione/evoluzione della tazza.
La tazza, a sua volta è una proiezione/evoluzione della mano umana.

Se esaminiamo la mano nell'atto di "prendere" dell'acqua, si potrà arrivare alla conclusione che è, a sua volta,una proiezione di una delle cinque azioni che il corpo può compiere: l'azione di afferrare.
Afferrare, muoversi, parlare , defecare, procreare sono, per lo yoga,  le cinque azioni fondamentali che il corpo umano può compiere.
La mano è la proiezione dell'idea "afferrare".
Il piede è la proiezione dell'idea " muoversi".
La bocca è la proiezione dell'idea "parlare".
L'ano è la proiezione dell'idea "defecare".
L'organo sessuale è la proiezione dell'idea "procreare".

Tutte le azioni che può compiere il corpo umano sono a loro volta delle proiezioni/evoluzioni di queste cinque azioni principali
E queste cinque azioni, a loro volta sono una evoluzione/proiezione dell'azione "primaria": respirare.
Se respiro io immetto lo spazio esterno nell'interno del corpo.
Se espiro immetto lo spazio interno all'esterno del corpo.

Lo spazio è sempre lo stesso.
Ciò che immetto ed emetto sarà aria.
Senza aria l'essere umano non può vivere.
E' ovvio.
Se non può vivere non può nemmeno afferrare, muoversi, mangiare, defecare, procreare...
Quindi l'azione originaria è il respirare, un'azione che non dipende dalla volontà dell'individuo.
Arlecchino, in un celebre canovaccio della Commedia dell'Arte, cerca di uccidersi tappandosi naso e bocca, ma l'aria comincia ad uscire dall'ano (!!!!) e lui per la sorpresa apre bocca e naso e ricomincia a respirare suo malgrado. 
Il processo della respirazione ha bisogno di un interno e di uno esterno.
Ci sarà qualcosa "dentro" che si riempie e si svuota all'esterno ritmicamente.
Se non ci fosse l'alternanza (il ritmo) esterno-interno l'essere umano non potrebbe esistere.

Se si soffia aria in un palloncino senza mai fermarsi alla fine scoppia:
la inspirazione senza pause e senza espirazione porta alla distruzione.

D'altra parte un palloncino sgonfio non potrà cedere all'ambiente esterno neppure un nano grammo di aria.
L'aria senza ritmo, non è in grado , da sola, di assicurare l'esistenza del corpo umano.
Quindi il processo della respirazione sarà relativo al ritmo.



Per la teoria musicale il ritmo è differenza di accenti: 
il pendolo faTic-Toc dove  Toc sarà l'accento forte e  Tic l'accento debole.
Un valzer (3/4) sarà TOC TIC TIC.
Se si prende un corda tesa e la si fa vibrare, questa andrà, rispetto all'asse originario, una volta su ed una volta giù.
La vibrazione consiste nel movimento oscillatorio della corda, in alto ed in basso.

Il ritmo  invece "consiste nel porre l'attenzione del percepente su uno o l'altro dei movimenti della corda".
Il tempo è la percezione di certe frequenze medio basse (prendendo come riferimento il battito cardiaco come 1, 1 Hertz).
La melodia, infine,  consiste nel porre l'attenzione su questa o quella vibrazione medio alta.

La natura di ritmo, tempo e note musicali (quindi melodia) sarà la medesima.
Il ritmo è vibrazione, cioè suono.
La respirazione in definitiva è suono.
Il ritmo, nel caso specifico sarà la percezione della diversa qualità sonora di "esterno ed interno".
Senza discriminare tra spazio esterno e spazio interno non ci sarebbe neppure il concetto di respirazione, non ci sarebbe neppure il concetto della vita dell'essere umano.
Lo spazio interno della teiera potrà essere riempito di tè, così come lo spazio interno del corpo umano potrà essere riempito di coscienza.
Appariranno diversi tra loro tanto lo spazio interno ed esterno alla teiera tanto lo spazio interno ed esterno al corpo umano, ma sarà appunto "apparenza".
Se voglio bere il tè, sarò io a riempire la teiera, ma chi riempie di coscienza/individualità la "teiera" corpo umano?
Se fosse il piccolo "io ", l'anima individuale, a farlo sarebbe come pretendere che il tè decida da solo di infilarsi nella teiera.



Esistono vari tipi di Tè, bianco, nero, verde, giallo, rosso....
Così come esistono vari tipi di individualità umana.

Se la necessità di un fenomeno è la possibilità di goderne, Priya, viene da chiedersi quale piacere un ipotetico Creatore potrà provare nell'immettere nelle teiere/corpi umani, individualità così lontane tra loro come , ad esempio Hitler e Ramana Maharishi.
Possibile che vi sia "necessità" di entrambi, nella manifestazione?
Forse le cose sono più complesse di ciò che sembra.
O forse più semplici.

Quello che chiamiamo ईश्वर īśvara, il creatore, sta all'universo come il जीव jīva sta all'essere umano.
Essendo causa della manifestazione, īśvara sarà "relativo" all'effetto jīva.
Se non ci fosse la manifestazione non ci sarebbe neppure il Creatore.
Così se non ci fosse il corpo umano (i "cinque involucri") non ci sarebbe il जीव jīva. 
īśvara è la causa della manifestazione.
jīva è la causa dell'individualità.

STATI COSTITUTIVI DEI GUNA

I quattro tipi di samadhi savikalpa sono in realtà "momenti" di percezione dei cinque elementi.



Vitarka o savitarka samadhi è la comprensione dell'unità della manifestazione grossolana rappresentata/percepita dalla parte "tamasica" degli elementi, ovvero, per parlare del corpo, gli organi fisici di azione e percezione:

1) Spazio = Bocca, Orecchio
2) Aria = Mano, Pelle.
3) Fuoco = Piede, Occhio.
4) Acqua = Organi Genitali, Lingua.
5) Terra = Ano, Naso.

Vicāra o savicāra samadhi è la comprensione dell'unità della manifestazione sottile rappresentata dalla parte "rajasica" dei cinque elementi, ovvero:

1) Spazio = Azione del Parlare
2) Aria = Azione dell'Afferrare.
3) Fuoco = Azione dell'Andare.
4) Acqua = Azione del generare.
5) Terra = Azione dell'evacuare.

Ānanda o sānanda samadhi è la comprensione dell'unità della manifestazione sottile rappresentata dalla parte "sattvica" dei cinque elementi, ovvero:

1) Spazio = percezione del suono
2) Aria = percezione tattile.
3) Fuoco = percezione della luce/forma
4) Acqua = percezione del sapore
5) Terra = percezione dell'odore.

Asmitā o sasmitā è la comprensione di ciò che è manifestato e manifestabile, ovvero dei cinque elementi qualificati (saguna) solo potenzialmente.
Ognuno di questi stati percettivi viene associato ad uno dei quattro stati costitutivi dei गुण guṇa.
Si legge in yoga sutra II,19:

"visheshavishesha lingamatralingani gunaparvani"


Nella traduzione di Raphael:

"Gli stati costitutivi dei guṇa sono: lo specifico, il non specifico, il differenziato e l'indifferenziato".

Esaminiamo le singole parole con l'aiuto del dizionario:
विशेष viśeṣa significa: "speciale", "peculiare", "specifico", "varietà", "distinzione", "specie".
Con la a privativa, aviśeṣa, significa: "non peculiare", "non distinto", "non specifico".
लिङ्ग liṅga, significa: "pene", "fallo", "marchio", "genere", "caratteristica di base".
मात्र mātra significa: "un elemento", "la materia elementare","una certa misura", "una certa quantità", "una certa somma", "una certa durata". 
ālińgana sta invece per "abbraccio", "abbracciare" ecc., ad indicare la mancanza di differenziazione.
पर्वन् parvan significa: "nodo", "periodo", "giuntura", "ricorrenza" ecc.
Torniamo alla Traduzione di Raphael, e prendiamola per buona:

"Gli stati costitutivi dei guṇa sono: lo specifico, il non specifico, il differenziato e l'indifferenziato".

Per fare un esempio immaginiamo un pittore che dipinge una rosa.
Per specifico si potrebbe intendere qua il risultato finale, la rosa con i suoi petali colorati, le foglie, il gambo, le spine ecc.
Per non specifico si potrebbe intendere l'azione del dipingere, con il pennello che si muove dalla tela alla tavolozza ecc.
Per differenziato si potrebbe intendere l'idea di dipingere .
Per non differenziato ciò che sta a monte dell'idea di dipingere, l'idea sia del dipingere che della rosa allo stato potenziale, senza distinzioni.
Il samadhi è ciò che svela che l'idea di dipingere, il dipingere e il dipinto sono già presenti allo stato potenziale nello stato "indifferenziato" (ālińga).
E' l'uomo a discriminare ed a chiamare la stessa cosa "idea", "azione", o "risultato".

SAMADHI COME STRUMENTO DI CONOSCENZA

Il samadhi è strumento di conoscenza,
Pensarlo come un punto d'arrivo si dice sia un errore abbastanza comune, tanto che in alcune scuole sia visto come realizzazione.
Patanjali nel libro terzo degli yoga sutra, chiarisce che il Samadhi è परिणाम pariṇāma, parola che significa cambio, modificazione, alterazione.





Ma cosa è il samadhi
Meditiamo su un punto di luce.
All'inizio si avranno tutta una serie di pensieri che riguarderanno sia il punto di luce che eventuali stimoli esterni.
Poi, piano piano la mente porterà la totale attenzione sul punto di luce e si trasformerà, apparentemente , nel punto di luce.
Supponiamo che questa apparente trasformazione si esprima con la visione di una specie di uovo luminoso e palpitante che emerge dall'oscurità.
Se osservo l'uovo palpitante che emerge dallo spazio si tratterà di una "meditazione con seme".
Ci sarà un soggetto percepente (io che guardo) e ci sarà l'oggetto percepito (l'uovo).
Ad un tratto questa distinzione scompare e si perde la coscienza della distinzione.La mente dopo un periodo più o meno lungo riprenderà il sopravvento ed esaminerà, con sorpresa alcune modificazioni percettive: non si avrà, ad esempio, la sensazione del corpo.
Oppure si percepirà l'interno del nostro cranio come un insieme di gocce di luce, oppure ancora non si avvertirà differenza tra lo spazio interno ed esterno ecc. ecc.
La sensazione di piacere potrà essere assai forte e cercando di ritornare nello stato di veglia ci si troverà immersi in un mondo nuovo, l'aria potrà sembrare densa come gli oggetti grossolani o questi potranno sembrare sottili come l'aria.
Il corpo apparirà più leggero o addirittura si avrà difficoltà a muoversi.
I colori ed i rumori saranno in genere più vivi e si avrà la possibilità di udire suoni mai uditi prima e colori mai visti primi.
Si potrà avere la sensazione di vivere contemporaneamente nel passato e nel presente o nel sogno e nella veglia.
Si avrà la consapevolezza di un qualcosa che è accaduto senza sapere che cosa sia accaduto.
Si potrà avere la sensazione di poter fare qualsiasi cosa e di poter comprendere qualsiasi cosa.
Uno stato di alterazione che può durare da pochi minuti a mesi interi e che può spaventare, se non si sa di che si tratta.
Una volta che l'oblio ci ha ricondotti alla piena coscienza di veglia,  quello stato potrà diventare una fonte di desiderio.Ciò che dovrebbe sapere il meditante è che la pratica consiste nel prendere confidenza non con questo stato (collegato in alcuni casi alla manifestazione di siddhi o poteri psichici), ma con il momento in cui, dopo la scomparsa (nel caso che abbiamo fatto in precedenza, per fare un esempio) della percezione dell'uovo di luce (e prima dell'insorgere della volontà di esaminare il proprio stato o la propria posizione o la propria percezione) non si è coscienti di ciò che accade.
Quell'attimo di apparente "non esserci" è ciò che viene definito क्षण kṣaṇa, "la fessura in cui neppure un capello può entrare" di cui parlano i samurai.
Questa sensazione non sensazione, di cui lo stato di alterazione successivo altro non è (apparentemente?) che una conseguenza, è il flusso निरोध nirodha, la condizione in cui "la mente riposa in se stessa".

NIRVITARKA

Brahman è concepibile (immaginabile) come Infinito Spazio Puro  detto Brahman senza forma o nirguna o come Forma Fluttuante nello Spazio detta Brahman con forma o saguna)Lo Spazio primigenio del Brahman senza forma, viene espresso attraverso tre correnti/qualità: LUCE - SILENZIO - VUOTO (o AMORE).
Le tre correnti (le TRE GRANDI MADRI) corrispondono all'energia dell'Azione (LUCE), all'energia della conoscenza (SILENZIO) e all'energia del Desiderio o Volontà (VUOTO) e danno origine ai cinque veli limitanti di माया māyā,
ovvero:

- Limitazione dello Spazio.
- Limitazione della conoscenza.- Limitazione della passione.
- Limitazione del tempo.
- Limitazione del principio di consequenzialità o causa-effetto.

I cinque veli sono le sorgenti dei cinque elementi, che potremmo definire "punti di vista limitati dello Spazio:

La limitatezza dello spazio kalā è la sorgente di ciò che definiamo Etere o आकाश ākāśa.
La limitatezza della conoscenza vidyā corrisponde a ciò che chiamiamo Aria o वायु vāyu.
La passione rāga corrisponde a ciò che definiamo Fuoco o तेजस् tejas.
La limitatezza del tempo kāla corrisponde a ciò che definiamo Acqua o आप āpa
Il principio di causa-effetto niyati corrisponde infine a ciò che chiamiamo Terra o पृथ्वी pṛthvī
I quattro tipi di samadhi savikalpa citati da Patanjali sono "strumenti" per risolvere i primi quattro veli limitanti (dal nostro punto di vista, ovvero, per così dire, dal basso).



Ricordiamo Yoga sutra I,17 e proviamo a "sviscerarlo":

"vitarka vichara ananda asmita rupa anugamat samprajnatah"

Nella traduzione di Raphael:

"La condizione di conoscenza è quella accompagnata dall'argomentazione, dalla deliberazione, dalla beatitudine, dal senso dell' "io sono".

il primo tipo di samadhi (vitarka o savitarka samadhi, dove Tarka significa "ragionamento")) è collegato alla limitazione di Causa/Effetto niyati, e all'elemento Terra.
Il secondo tipo di samadhi (vicāra o savicāra samadhi, dove vicāra significa "idea", "pensiero") è collegato alla limitazione di Tempo, kāla e all'elemento Acqua.
Il terzo tipo di samadhi (ānanda o sānanda samadhi, con ānanda che significa "beatitudine") è collegato alla Limitazione della Passione/desiderio, rāga ed all'elemento Fuoco.
Il quarto tipo di samadhi (asmitā o sasmitā samadhi, con asmitā che significa "egotismo", "senso dell'io") è collegato alla Limitazione della conoscenza o 
vidyā e all'elemento Aria.Rimane il quinto velo , la limitazione di spazio o kalā che corrisponde all'elemento SPAZIO.
Lo Spazio o Etere è contemporaneamente uno dei cinque elementi e la sorgente degli altri quattro.
Si può dire che è contenuto in tutti gli elementi e che tutti gli elementi provengono da lui.
Lo strumento di conoscenza del quinto velo limitante o kalā è il nirvikalpa samadhi (dove कल्प kalpa significa "età", "possibilità", "rituale")
Ogni velo corrisponde ad uno dei cinque elementi e lo spazio è contenuto in tutti gli altri elementi.
E questo significa che la conoscenza di ogni  singolo velo limitante (così possiamo definire il samadhi savikalpa) apre alla possibilità di "accedere " al nirvikalpa samadhi.
Nelle scritture, "dopo" ciascun samadhi savikalpa è infatti citato un samadhi nirvikalpa.
Il primo tipo di samadhi "senza seme" è detto nirvitarka.
Patanjali lo cita nel sutra I,43;

"smriti partisuddhou svarupa sunyeva artha matra nirbasa nirvitarka"

Nella traduzione di Raphael:

"Quando la memoria è purificata e la mente perde la sua propria forma e soltanto la conoscenza reale dell'oggetto (di concentrazione) risplende, si ha lo stato di concentrazione senza argomentazione (nirvitarka)".

Nirvitarka samadhi in altre parole è la comprensione della "vera forma" dell'oggetto e di ciò che di quella vera forma è "causa", ovvero ciò che in un fenomeno è definito भाति bhāti, la luce propria di un oggetto, senza le sovrapposizioni create dalla mente.
Nirvitarka è il gradino che permette il passaggio al samadhi detto vicāra o savicāra.

LA TRIPLICE VIA DEL FUOCO

La Br. upanishad parla di tre "Fuochi", (vedi "L'ARTE DI SALDARE L'AMATO..."): i primi due sono Fuoco e Sole.
Il terzo è il vento.
Nell'inno orfico ad Helios ("Inni orfici", 
7 VIII°. A cura di G.Faggin, ed. Asram Vidya) si legge:

"O signore del mondo, 
che ami la siringa
 e ti aggiri come fiamma".



Siringa è il nome della ninfa per la quale (e "dalla quale") Pan crea il suo flauto.
In altre parola è la "canna che il vento rende eloquente".
Chi altri potrà essere se non il vento, colui che ama la siringa?
Il secondo fuoco è il sole.
Dice ancora l'inno ad Helios:

"Tu [Signore del mondo] con la lira d'oro
 misuri l'armoniosa corsa del mondo"

Si parla del sole ovviamente e la lira d'oro non sarà altro che lo strumento donata ad Orfeo da Apollo.

Il divenire viene "misurato" con uno strumento musicale.
Il "Geometra" dei Pitagorici deve lavorare con i suoni
Il primo fuoco dell'upanishad è, ovviamente (?) il Fuoco ed i tre insieme (Fuoco, Sole, Vento che nel tantrismo diverranno Fuoco, Sole e Luna) sono insieme lo spirito vitale, il Prana, che sembra di poter riconoscere facilmente  nei versi dell'inno orfico ad Helios:

"[...] Turbine infinito [...] 
corridore veloce. 
fiammeggiante e giocoso auriga [...]" 

Probabilmente sono suggestionato, ma a me pare che  i due testi,la Br. Up. e l'Inno a Helios, siano sovrapponibili, quasi fossero opera della stessa penna:

Br. up.:
"[...]In questa forma lui sostenne le acque 
e chi questo conosce trova, 
ovunque vada, il suo sostegno [...]

Inno ad Helios:


"[...] Re dell'Universo [...]
 amico delle acque [...] 
ascolta queste voci 
e agli iniziati, 
la dolce vita rivela."



La tradizione dei Veda sembra la stessa degli Inni Orfici.
Dire "Okeanos che cingi l'universo" e dire "Adisesa che cingi l'universo", sapendo che entrambi sono rappresentati come un serpente, sembra un dare nomi diversi alla stessa persona.

L'ARTE DI SALDARE L'AMATO CON L'AMANTE


Nel "Simposio", Socrate citando Aristofane, parla dell'Amore e di Efesto ( Il fabbro divino) che propone di "saldare l'amato con l'amante".
E parla degli amanti che altro non desiderano che di essere uniti per l'eternità.



Simposio 189 c-193:

"[...] da un tempo così remoto, dunque è connaturato negli uomini l'amore degli uni per gli altri;
esso ricongiunge la natura antica, e si sforza di fare, di due, uno, e di guarire la natura umana.
ciascuno di noi quindi è un complemento di uomo, in quanto è stato tagliato, come avviene ai rombi, da uno in due; ciascuno dunque cerca sempre il suo complemento [...]
"


L'uomo, secondo Aristofane, era uno ed è stato diviso in due.
Questa unità originaria per lo yoga è lo stato naturale (Sahaja) e la maniera per ritrovare lo stato naturale  è Samarasa che vuol dire  il medesimo sapore, e indica l'orgasmo contemporaneo e ininterrotto dei due amanti divini, Shiva e Shakti..
Amore è la volontà di ricondurre l'essere umano a quella unità originaria.
Eros, l'androgino (assimilabile al Phanes degli orfici) è, per l'Aristofane del Simposio, la causa di questa tendenza all'unità o tensione realizzativa.
I veda descrivono un mito (o concetto o teoria) analogo:

(Brhadaranyaka Upanishad I,III)1. In origine questo universo era soltanto il Sé (Viraj) della forma umana. Egli osservò e comprese di essere soltanto sé stesso, dunque affermò "Io sono". Quindi il suo nome fu Aham (io). Perciò da allora quando a qualcuno si chiede chi egli sia risponde "io sono", poi aggiunge il proprio nome. Siccome Egli era prima (Purva) di tutto questo universo e prima di chiunque aspiri alla perfezione, Egli bruciò col fuoco (Us) ogni male ed è chiamato Purusa. Colui che conosce questo brucia chiunque desideri levargli il primato.
2. Egli ebbe paura. Perciò tuttora chiunque sia solo ha paura. Egli pensò: "Se non esiste nessuno oltre me, di che cosa ho paura?". Allora passò la paura, poiché cosa avrebbe dovuto temere? Solo da una seconda entità può provenire il timore.
3. Egli non era felice. Perciò tuttora gli uomini non sono felici quando sono soli. Desiderava una compagna. allora divenne grande come un uomo e una donna abbracciati e divise poi il suo corpo in due parti. Da questo nacquero il marito e la moglie. Perciò diceva Yajnavalkya che questo corpo è la metà dell'intero, come la metà di un frutto solo. E lo spazio mancante fu riempito con la moglie, con cui Egli si unì, e da cui nacquero gli uomini [...]".

Sembra quasi  che Aristofane abbia letto Upanishad....
La Brhadaranyaka Upanishad (titolo che più o meno significa "insegnamenti del grande bosco" o forse "il grande insegnamento del bosco") è una  delle upanishad più antiche, si dice che sia dell VIII- IX secolo a.C. ma pare sia molto, molto più "vecchia" di quanto ci immaginiamo. Eccone un altro brano tratto dal secondo brahmana (capitolo) del primo Libro:

2. L'acqua era splendore. 
La schiuma delle acque si consolidò e diventò la terra. 
E quando anche la terra fu creata, lui si sentì stanco. 
Mentre conosceva la stanchezza e il turbamento, la sua essenza e la sua gloria emersero all'esterno. 
E questo fu il Fuoco.
3. Poi si scisse in tre parti, una il fuoco, una il sole, una il vento; 
questo è il triplice spirito vitale [Prana]. 
L'Oriente fu il suo capo, i venti che provengono da quella zona furono le zampe anteriori; 
l'occidente fu la sua coda; 
i venti che soffiano da occidente furono le zampe posteriori; 
il settentrione e il mezzogiorno furono i suoi fianchi, il cielo fu la schiena, l'atmosfera il suo ventre, la terra il suo petto. 
In tal forma 
Egli sostenne le acque e chi questo conosce trova, ovunque vada, il suo sostegno.

La schiuma che diventa la terra....
Ecco che "riciccia" la Venere che esce dalle acque (vedi AFRODITE E LA SCHIUMA DI SHANKARA)!
La terra (mondo manifesto?) è la DEA.
La schiuma diventa la terra, ma se è schiuma del mare (direbbe Shankara) si può dire che è cosa diversa dal mare?
E la terra? 
Se è schiuma, come potrebbe essere diversa dal "mare"?"Egli si sentì stanco" dice la Br. Up. e la sua gloria e la sua ESSENZA, emersero all'esterno: e questo fu il FUOCO.
Un Fuoco che si scinde parti: fuoco, sole e vento.
Una "TRIPLICE VIA DEL FUOCO".

EROS DIVINO

Essere è conoscenza, e conoscenza è, assieme, la causa del conoscere, è l'atto del conoscere ed è il frutto del conoscere. Conoscenza è il conoscitore e conoscenza è il conosciuto.
Il resto è solo "rappresentazione". 
Esiste solo l'Essere/presenza.
Per il Vedanta di Shankara, il testimone dell'esistenza, che è conoscenza stessa, si pensa diviso in interno ed esterno.
Come se la schiuma del mare (ἀφρός) fosse esterna al mare.
La conoscenza si scinde, illusoriamente in Aham ed Idam, in IO e QUESTO,
ma entrambi sono "schiuma dell'oceano":
Aham potrebbe essere collegato a ciò che in occidente viene detta Afrodite urania e Idam a ciò che viene detta Afrodite pandemos.




Eros (il Kama indiano) è figlio di Afrodite e visto che ci sono due "Afroditi" possiamo supporre due diversi Eros, due diverse vie della conoscenza, una che possiamo definire esteriore (IDAM) o Eros Mondano, ed una interiore (AHAM)o Eros Divino.
I sensi sono gli organi del Conoscere e vengono simboleggiati dalle frecce di Eros.l'arciere,  che sarà quindi la conoscenza stessa.
Il Conoscitore è Eros, il Conosciuto la manifestazione, l'atto del conoscere la rappresentazione della realtà dataci dai sensi e dalla mente.
Nel "Mito della Caverna", Platone descrive, dei personaggi che si frappongono tra gli uomini e la sorgente di luce.
Sono attori che, come nel teatro delle ombre, creano uno spettacolo ad uso degli uomini incatenati
Chi sono questi tizi che si pongono a metà tra la luce del sole e la visione del mondo umano?
Come nelle ombre cinesi un sapiente movimento delle dita sembra creare ora un coniglio, ora un serpente, ora una farfalla, così quegli attori creano la rappresentazione della realtà di veglia.
Ma il coniglio, il serpente e la farfalla nascono solo nell'immaginazione dello spettatore.
Gli attori sono l'idea del coniglio, l'idea del serpente,l'idea della farfalla.
Gli attori sono Dei. 
Il dito che indica la luna non è la luna, si usa dire.
Ma se non ci fosse il sole che illumina la luna e di riflesso, il dito non si avrebbe nè la percezione del dito né quella della luna.



Scrive Giovanni della Croce (Juan de Yepes Álvarez):

1. In una notte oscura,
con ansie, d’amor infiammata,
oh, felice ventura!,
uscii, senza esser notata,
stando la casa mia già acquietata.

2. Al buio e sicura,
per la segreta scala, mascherata,
oh, felice ventura!,
al buio e celata,
stando la casa mia già acquietata.

3. Nella notte felice,
in segreto, senza esser veduta,
senza veder cosa,
senza altra luce o guida
fuor quella che in cuor bruciava

4. Questa mi conduceva,
più certa della luce meridiana,
là dove mi aspettava
quello che ben sapevo,
là dove nessuno si vedeva.

5. Oh, notte che guidasti,
oh, notte più che dell’alba amabile!
O notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!

6. Sul mio petto fiorito,
che solo per lui intatto era serbato,
là si posò addormentato
ed io lo accarezzavo,
e la chioma dei cedri lo sfiorava.

7. La brezza di alte torri,
mentre i suoi capelli scioglievo,
con la sua mano leggera
il collo mio feriva
e ogni senso mi rapiva.

8. Dimentica di me ivi rimasi
il volto reclinato sull’Amato,
tutto cessò e mi staccai da me,
tra i gigli abbandonati i miei pensieri.