mercoledì 4 dicembre 2013

CONSAPEVOLEZZA DELLA VACUITÀ



La vacuità non è il nulla, ma  la perfetta ed infinita pienezza.
Come potrebbe esserci la consapevolezza dell'onda nel mare che sa di essere mare?
Se il millepiedi vivesse nello stato coscenziale della sua millesima zampa le altre 999 si intralcerebbero tra loro e lui non potrebbe spostarsi di un millimetro.
Dire o realizzare , per esempio, IO NON SONO IL MIO CORPO FISICO non equivale a dire o realizzare IO NON SONO.
Essere consapevoli di NON ESSERE è una contraddizione in termini.
Si può avere consapevolezza solo di ciò che si è e, infine, di ESSERE.
Le parole non sono in grado di esprimere compiutamente gli stati di coscienza cui ci riferiamo parlando di meditazione, samadhi, ekagrata parinama o samyama parinama.
Così anche le più dotte disquisizioni su essere, consapevolezza, vuoto o le piùacute analisi dei sutra lasciano il tempo che trovano.
Ma non sempre è così.
Tra le pieghe degli insegnamenti tradizionali si scoprono a volte, degli spunti che possono essere interessanti.
Isvara , ad esempio è l'ignoranza perfetta (la non consapevolezza) che avvolge la Coscienza/Consapevolezza totale.
La realizzazione di questa incongruità, ovvero, sul piano soggettivo, la identificazione del livello di coscienza detto Prajna, può accompagnarsi ad un qualcosa che si potrebbe definire consapevolezza della vacuità.
Milarepa parla dello stagno di shamata (la fase che precede vipassana o vipasyana) in termini che potrebbero essere interpretati come "consapevolezza della vacuità", la coscienza che ciò che si è realizzato è il "tutto", ma che c'è qualcosa di più del tutto, qualcosa che lo "comprende".
Il Quarto, il Turiya dell'Advaita Vedanta, è lo stato della realizzazione non duale (gli altri tre sono veglia/visva, sogno/taijasa, sonno/prajna)
Il quarto è Brahman nirguna.
E' l' Ain soph della Qabbalah
E' Il grande Tao, di cui non si può parlare.
Si può intuire, ma non lo si può esprimere.
Tra le pieghe della tradizione, si trovano altri stadi di coscienza "oltre" Turiya.
Si parla di un Quinto livello di coscienza in cui la coscienza della totalità si accompagna alla consapevolezza individuale.
Sembra assurdo anche solo il parlarne, ma nel tantrismo del kashmir e nello Yoga dei Nath, al di là del manifestato e della causa del manifestato, sono contemplati almeno tre stati: Jiva turiya, Brahman Turiya e Turiya-Turiya.
Ma non credo sia qui il caso di affrontare l'argomento.
Più interessante sarebbe, secondo me, il parlare delle esperienze personali dei meditanti.
Il puntino che sovrasta la mezzaluna (nada) dell'AUM è il bindu.
Quel puntino è legato alla consapevolezza di un PRIMA e di un DOPO.
L'istante in cui a volo di rondine ci si avvicina a quel qualcosa di cui non si ha coscienza individuale è il prima.
Lo stupore della reintegrazione e la compresenza della consapevolezza interiore del puntino e della consapevolezza della realtà empirico rappresentano il dopo.
Il meditante fa quindi l'esperienza del "prima" (identificazione con il bindu), del "durante" e del dopo (reintegrazione nella realtà empirica).
Ma può testimoniare solo il PRIMA ed il DOPO non potendo assolutamente conservare il ricordo di ciò che è senza tempo e senza spazio.
Il meditante, è, ovviamente, colui che pratica meditazione.
Ma cosa è la meditazione?
Per anni a chi mi chiedeva -"cosa fai quando mediti?"- rispondevo, con il sorriso più buddhico che riuscivo ad imitare -"medito"-
Col tempo ho scoperto che quasi tutti i praticanti a cui si pone la domanda rispondono sorridendo -"Medito. Che altro?"-


"I meditate, what else?", potrebbe essere lo slogan di una campagna promozionale per dei corsi di yoga. 




Credo che spesso per meditazione si intendano la semplice riflessione o l'immersione in un ragionamento o in un mantra (tecnica definita mananam nel Vedanta), o uno stato di torpore o rimbabimento.
Forse sarebbe il caso si cominciasse a descrivere in cosa consiste effettivamente la pratica della meditazione.
Perché di "pratica, si tratta", ed essendo una pratica avrà un apparato tecnico, un modus operandi,dei "segreti del mestiere" sui quali chi si avvicina allo studio delle discipline orientali trova, chissà perché, scarse indicazioni.


La pratica del meditare sembra che interessi a pochi.

Appassionano molto, invece, le discussioni sui massimi sistemi e gli aneddoti.
Le discussioni sui massimi sistemi fanno sentire intelligenti, gli aneddoti stimolano la mente emotiva.
Ma ciò che riguarda la parte tecnica della meditazione viene relegato nell'ambito dell'insondabile e del non dicibile.

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