venerdì 29 novembre 2013

ESSERE QUALCUNO

La nostra visione del mondo e delle cose è assai limitata.
La nostra vita è un film, lo si dice spesso, di cui ciascuno di noi è, nel contempo, regista e protagonista. 

Ma c'è anche un altro dettaglio: si gira tutto in "soggettiva". 




Se nei sogni, a volte, pur se evanescenti come la promessa di non bere fatta da un alcolizzato, appariamo insieme agli altri personaggi, nella vita di tutti i giorni non ci vediamo ed ascoltiamo mai.
Possiamo solo osservare la nostra immagine riflessa in uno specchio o sorprenderci del tono strano della nostra voce registrata, ma il nostro vero sguardo e la nostra vera voce non li ascoltiamo e vediamo mai.
Se siamo in dodici seduti in una stanza, ciascuno di noi vedrà 12 scene diverse.
Cambia la prospettiva: se Fabio è alla sinistra di Laura e Sandro alla sua destra, parlando di lei, nei loro successivi racconti, ne descriveranno due profili diversi.
Cambiano i personaggi:
Fabio vedrà gli altri 11 e non se stesso e così Sandro, e Laura e Andrea.
Osservazione ovvia e banale.
Ne è un'altra, altrettanta banale:
la visione del mondo di ciascuno di noi, dipende anche dall'ambito culturale ovvero dall'insieme di stimoli che si sono ricevuti in virtù dell'appartenenza ad una famiglia, a un ceto sociale, a una generazione, e questo, in aggiunta alla forzata differenza di prospettiva dovuta all'individualità, conduce alla creazione di una mitologia personale



Lo yoga è un Arte.
E come tutte le arti attinge, invece alla Mitologia universale, agli Archetipi.
La sostituzione di questi con simboli che hanno valore limitato ad ambiti più o meno ristretti è uno dei motivi delle difficoltà di comprensione.
Comprensione delle testimonianze altrui, comprensione degli insegnamenti antichi, comprensione di Sé.
Tempo fa ero a cena con Andrea Pagano e Ingrid la sua compagna.
Dopo una profonda meditazione sulle qualità organolettiche del Primitivo del Salento, Andrea ha cominciato a raccontare dei suoi nonni e bisnonni.
Storie degne di Conrad o di Corto maltese, con l'aggravante che non sono frutto di fantasia, ma sono vere, confermate da cronache, libri e nomi sulle lapidi.
Io, per non essere da meno, ho raccontato  della mia bisnonna, sposata con un ferroviere anarchico nella maremma del primo novecento.
Una vita di stenti.
Undici figli ha avuto e  sette sono morti di malaria.
A più di novantanni gridava e bestemmiava contro l'ingiusta morte che voleva portarsela via così giovane.
Sicuramente non è un esempio di yogico distacco, ma pensarci bene, il suo gridare, come la Desdemona di Shakespeare, "mezz'ora, mezz'ora ancora....un bacio un bacio ancora...", la sua speranza di godere per qualche istante in più, di un raggio di sole, del volo di un gabbiano o del cicaleccio dei bimbi  in strada, ci avvicinano ad uno dei segreti meglio custoditi della filosofia orientale.
Perché ci si incarna? 
Perché ci si getta nella catena del samsara, il ciclo delle rinascite?
La risposta è semplice:
perché la vita è meravigliosa.
Perché è quello, vivere, il Bello in Sé.
-"Non vedo differenza tra uomo e donna"- 
diceva Yeshe Dawa, la prima incarnazione di Tara 
-" Sono diversi come l'acqua dall'onda... E non vedo differenza tra Samsara e Nirvana"-
Amare la vita per ciò che è, un lampo di bellezza, è un segreto piccolo piccolo.



Ha detto un'altra cosa interessante Andrea.
Mi ha raccontato di un film sulla Tatcher che non ho visto, con Meryl Streep.
Pare che il personaggio dica, ad un certo punto: -" Mi pare che oggi ci sia un sacco di gente che vuole essere qualcuno. Ai miei tempi si pensava a fare qualcosa"-
Questo è un punto fondamentale.
Anche per lo Yoga.
Il desiderio di essere qualcuno è un ostacolo quasi insormontabile per il praticante, perché è  entrato così profondamente nell'immaginario collettivo ed  è stato così impregnato di valori positivi, da essere ormai invisibile.
Anche se si dice di scrivere e parlare di yoga per testimoniare o condividere, sotto sotto, in molti di noi, c'è il desiderio che venga riconosciuta la nostra non ordinarietà.
Ci si appropria di tecniche, idee, teorie elaborate da altri e le difendiamo a spada tratta come se fosse questione di vita o di morte,e ci amareggiamo quando il nostro dire o il fare, che riteniamo degno di plauso e sorrisi di approvazione, passa inosservato o è soggetto a critica.
Alla fine si passa più tempo a difendere opinioni nostre o altrui che a godere della vita.
Ci impegnamo di più a lottare contro chi sembra minacciare la nostra autostima che a godere della natura e del vario combinarsi di energie, colori ed emozioni.
Vogliamo sentirci bravi, indispensabili, autorevoli e non riusciamo a vedere che si tratta di un ostacolo, perché ci hanno insegnato che lo scopo  della vita è essere qualcuno



Nella mitologia individuale dei nostri tempi, l'eroe che va nel regno degli inferi e torna dopo aver catturato il daimon, viene sostituito da Valentino Rossi o Steve Jobs o Silvio Berlusconi.
Il metro di giudizio della validità di una pratica, è diventato il successo, planetario, o meno.
 Se si è degli sportivi professionisti o dei manager o dei politici va anche bene, ma nel cercare di seguire il percorso tracciato da Shankara, Patanjali o Buddha Shakyamuni il desiderio di "ESSERE QUALCUNO"  può diventare una catena di acciaio inossidabile.
Non è raro trovare, su internet, segnalazioni di corsi di Yoga, Meditazione, Mindfulness o Analisi dell'Enneagramma che promettono di far intravedere la via che porta al successo personale.
Va bene.
Va tutto bene, ma bisogna essere consci del fatto che lo Yoga, o il Taoismo, o lo Zen, pur non considerando assolutamente negativo il raggiungimento del successo personale, mettono in guardia contro la sua ricerca.
Credere di essere "Qualcuno", voler affermare a tutti costi la propria individualità, lottare per accrescere l'autostima, serve a pensare di essere unici, mentre ciò che è unico, invece, è questa vita, qui ed ora.
La vita umana è un'occasione, ed è maledettamente bella, come la Dea, con i capelli neri come l'ala del corvo, e gli occhi blu come il fiore di utpala.
Cercare di affermare la propria individualità porta a desiderare di essere "più qualcosa" degli altri e ad assumere atteggiamenti contraddittori che da un lato sono finalizzati all'ottenimento del favore altrui, dall'altro conducono a forme di protesta o di ribellione.
Il satanista che rovescia la croce e si scaglia contro il Dio della Bibbia, è un cattolico, che urla la propria volontà di essere riconosciuto diverso, originale, particolare. Solo un cattolico può essere un satanista.
Chi non lo è vedendo una croce rovesciata, può, al limite, spiacersi perché offende dei devoti, ma l'immagina non gli smuoverà niente.
Nessuna emozione particolare. 
Ogni volta che ci si allontana dalla vita o si cerca di cambiarla, si va sul sentiero della magia, intesa come tentativo di modificare la realtà.
Lo yoga non è magia.
La magia vuole mutare la realtà, lo yoga vuole penetrarla, con dolcezza.
Prima bisogna riconoscerla, poi spogliarla dei veli dell'illusione, e infine ci si può unire a Lei, nella danza senza fine della Vita. 



La morte è all'altro capo del filo della nascita.
Ma il filo è un trattino trascurabile.
Uno dei mille e mille fili che formano il tappeto, meravigliosamente decorato, dell'esistenza.
Autostima, ricchezza, successo sono considerati valori positivi, ma bisognerebbe analizzarli a mente fredda.
L'autostima ad esempio cosa è?
Il rapporto tra IO PERCEPITO e IO IDEALE.
E che accade se il mio IO IDEALE è Steve Jobs?
Che ne so delle sue emozioni, delle sue paure, dei desideri?
E' un nome legato a una mela.
Posso mitizzare le sue capacità imprenditoriali o il suo aver rivoluzionato il sistema delle comunicazioni.
Oppure posso criticarlo per aver rubato idee altrui, portando a prova la tecnologia militare degli anni sessanta, per esempio.
O, ancora posso più meno sinceramente, compatirlo, pensando che è uno che per tutta la vita ha lavorato per 12 ore al giorno per accumulare una fortuna che non si è goduto perché, pur non avendo fumato neppure una sigaretta in vita sua, è stato stroncato dal cancro.
Ma lui è comunque lui.
Il film della sua vita non potrò mai viverlo da protagonista.
Si parla continuamente di "vivere nel presente", ma poi si fanno continuamente dei piani per il futuro e si studiano le mosse per cercare di ottenere il successo e la considerazione altrui.
Si cerca di mutare la realtà.
Si cerca di "fare magia", e nel momento in cui la vita non risponde alle nostre aspettative, ai nostri progetti, ci arrabbiamo, ci deprimiamo, ci sentiamo abbandonati.
In fondo siamo solo dei maghi frustrati e un po' idioti così impegnati nella ricerca della considerazione altrui da non vedere i tesori che ci passano vicino.
Basterebbe allungare la mano per essere felici, ma non ne siamo capaci.
Preferiamo vivere nel desiderio di essere qualcuno e nella paura della morte nostra e delle persone che amiamo.
Morte non vista come un passaggio di stato, ma come la fine della nostra individualità, delle nostre possibilità di successo e di affermazione.
Sono migliaia di anni che upanishad e derivati ci dicono che i nemici dell'uomo sono il MIO e l'IO e noi siamo ancora qui, a chiamarci yogin e a a cercare l'affermazione personale, arrabbiandoci se non vengono riconosciute le qualità che "noi" attribuiamo alla "nostra" presunta, meravigliosa individualità.

RTA, IL RITMO UNIVERSALE

"Questo sarebbe allora il mio gioco, in attesa che la breve onda che io sono, suscitato per caso e per breve incorporamento sull’oceano della vita, scompaia di nuovo nella mai spenta agitazione di quello, per dar luogo ad altri labili flutti: gioco innocuo e modesto, come altri in più impegnativi e pericolosi giochi si trastulla"
Giuseppe Tucci
 




Ciò che è definito caduta, ovvero l'apparente incarnazione del jivatman, è l'unica possibilità che ha l'uomo per conoscere. 
La vita dell'uomo inteso come individualità non è altro che un gioco. 
Tucci parla di onde ed oceano della vita, metafora usata da tanti altri studiosi e praticanti. 
L'onda nasce per il desiderio di conoscere. 
L'oceano non può averne coscienza perché per lui l'innalzarsi dell'acqua ed il suo risolversi come schiuma sono solo apparenti. 
Non perché non ci sia qualcosa che sia innalza e risolve , ma perché quel qualcosa è l'oceano.
Che l'onda sia più o meno alta e potente, che sia blu, nera o verdastra si tratta sempre e solo di oceano. 
Se l'uomo non si facesse domande ma accettasse il suo essere una apparente modificazione dell'oceano dell'esistenza, non vi sarebbero né dolore, né rabbia né desiderio. 
La morte sarebbe solo un ritorno. 
La nascita un nuovo inizio. 
Eventi assolutamente ininfluenti per il grande oceano. 
Perché allora il dolore, la sofferenza, la rabbia? 
Perché l'attaccamento dell'uomo a ciò che è impermanente? 
L'Esistenza è un gioco e come ogni gioco deve avere delle regole. 
che per i Veda sono sintetizzate in un unica parola ऋत Ṛta
Ṛta è l'ordine cosmico e, insieme , la relazione tra rito (azione sacra) e divenire. 




La parola proviene da  che indica il movimento e ar che sta per giusto, appropriato armonioso. 
Il giusto ritmo, la giusta azione sono Bellezza e Armonia. 
Paura, sofferenza, ansia di incompiutezza nascono dalla "decisione" dell'uomo di andare "fuori tempo", di opporsi alla Bellezza ed all'Armonia. 
Vorrebbe "creare un suo mondo", l'uomo, modificare l'ordine naturale. 
Naturalmente non può, ma questo suo desiderio crea dolore,  rabbia, angoscia proprio perché irrealizzabile. 
Il desiderio di cambiare il ritmo naturale è detto, nei Veda द्रुह् druh
Druh è tutto ciò che si oppone, che combatte l'ordine naturale. 
Il piccolo io, l'Ego, è la diga che l'Uomo costruisce per cercare di interrompere il normale flusso dell'esistenza. 
Non essendoci alcuna differenza tra Essere e divenire (essendo il divenire null'altro che la possibilità espressione dell'Essere) e non essendoci differenza alcuna tra spazio interno (aham) e spazio esterno (Idam), costruire delle dighe significa imprigionare se stessi. 
Queste dighe, queste "catene" che l'uomo inventa per rendere dolorosa la propria esistenza sono chiamate ग्रन्थि granthi o nodi della conoscenza. 



SAMADHI, IL SAPORE DEL MIELE

Il samadhi è da considerare uno strumento di conoscenza. 
Strumento, e non punto d'arrivo come sembrano pensare taluni. 
I vari tipi di samadhi sarebbero degli istanti/intervalli di coscienza che permettono di risolvere le sovrapposizioni dei cinque elementi primari che possiamo identificare con i cinque veli della Dea:


1) Limitazione dello Spazio (Spazio/Etere) 
2)Limitazione della Conoscenza (Aria) 
3)Limitazione della Passione (Fuoco) 
4) Limitazione del Tempo (Acqua) 
5)Limitazione della causalità (Terra) 



Questi cinque elementi sono , ad un livello sottile , sia la capacità di percepire: 

1)Udito. 
2)Tatto. 
3)Vista. 
4)Gusto. 
5)Olfatto. 

Sia l'oggetto della percezione: 


1) Suono. 
2)Tangibilità. 
3)Forma/colore. 
4)Sapore. 
5)Odore. 

Ad un livello per così dire, successivo, i cinque elementi appaiono come possibilità di azione collegate ai cinque venti o energie: 


1)Parlare. 
2)Afferrare. 
3)Andare. 
4)Generare /Godere 
5)Defecare/ Espellere. 


Procedendo, verso la manifestazione grossolana avremmo l'apparire dei cinque elementi come organi fisici di percezione: 

1)Orecchio 
2)Pelle. 
3)Occhio. 
4)Lingua. 
5)Naso. 

E, ancora come organi fisici di azione: 



1)Bocca. 
2)Mano. 
3)Piede. 
4)Organi genitali. 
5)Ano. 


I samadhi savikalpa portano (anche) al riconoscimento dell'unità fondamentale della manifestazione, ovvero a riconoscere in tutti i fenomeni, i cinque elementi, e a riconoscere nei cinque elementi un'unico principio, lo spazio o grande spazio. 



Se si considerano l'atto sessuale e la produzione artistica come espressioni dell'Amore Incondizionato sarà facile osservare come entrambi si trasformino in una totale fusione dei cinque organi di senso e quindi dei cinque elementi, ovvero in riti sacri, fino ad arrivare a ciò che è detto sinestesia
La sinestesia consiste nel non distinguere tra eventi percettivi di natura diversa. 
Un suono appare come un'immagine o come una sensazione tattile. 
Come appunto se si trattasse un unico evento percettivo. 
La dissoluzione dell'universo, la scomparsa delle forme di cui parlano alcuni yogi, mistici e artisti è il riconoscimento dei cinque elementi fondamentali in tutti gli oggetti fenomenici e, di conseguenza, il riconoscimento della provenienza dei cinque elementi da un unico principio. 
Non è l'Universo che si modifica, ma la percezione. 


L'io illusorio viene creato dalla percezione che si ha del mondo
E' uno strumento creato per dare la possibilità di conoscere e di Ri-conoscere. 
E' grazie all'io illusorio che si può accedere alla comprensione della Realtà. 
Nello stato di sonno profondo si è in unione con la Prakrti
Non c'è possibilità di conoscenza perché si è conoscenza
Come potrebbe il miele descrivere il sapore del miele? 

IL SIGNIFICATO DI INFERENZA NELL'ADVAITA VEDANTA


In occidente Inferenza è una conclusione che viene tratta da due o più fatti o affermazioni.
Esempio che si fa sempre:

"TUTTI GLI UOMINI SONO MORTALI."
"SOCRATE E' UN UOMO."

Chi scrive questa frase ci mette volontariamente un senso nascosto, implicito (e infatti, in filosofia, si chiama IMPLICAZIONE) che in questo caso è:

SOCRATE E' MORTALE.

Chi capisce l'implicazione, invece INFERISCE, Inferenza è quindi "il capire l'antifona", ovvero cogliere il significato IMPLICITO di una affermazione.



Nella logica vedanta vi sono, tre (chiamiamole così) tecniche interpretative, in grado di rivelare le implicazioni ovvero i significati impliciti o nascosti:

1) jahal (jahati) laksanà.


2) ajahal (ajahati) laksanà.


3) jahad – ajahal (bhàga) laksanà.


Jahal laksanà (cfr. Sadananda -"Vedàntasara", ed. Ashram Vidya) è definita implicazione rimuovente.
Facciamo un esempio.
Tizio dice a Caio: "la città di Livorno è sul mare".
Ovvio che il senso letterale di questa frase sarà “rimosso” dal senso implicito.
Difficile credere che Livorno sia costruita direttamente sulle acque .
Si presume che siano implicite le parole costruita sulla riva. (del mare)
Ascoltando quindi frase "la città di Livorno è sul mare" il senso esplicito, diretto sarà “rimosso” e sostituito dal significato indiretto o implicito.
Un significato che, sebbene non espresso, sarà indiscutibile.

Ajahal- laksanà è definita, invece, implicazione non rimuovente.
Questo si ha quando il significato letterale è, senza il significato implicito, incompleto e/o totalmente incomprensibile.
Facciamo qui il medesimo esempio citato da Sadànanda nel Vedantàsara:
"Il rosso corre più veloce degli altri".
Rosso è una qualità.
Ovvio che ci si sta riferendo ad un cavallo rosso, o ad un corridore rosso per capelli o abiti .

Bhàga-laksanà è l' implicazione rimuovente-non rimuovente.
Prendiamo la frase: "Tu sei quel tizio che 5 anni fa si allenava nel parco con la spada cinese."
Tu sei quel Tizio…. significa che chi sta parlando riconosce in te, ora, lo stesso Tizio di 5 anni fa.
La frase in sé sarebbe contraddittoria in quanto in apparenza TU Tizio e QUEL Tizio sono due oggetti (di conoscenza) diversi.
Ma il significato implicito rimuove la contraddizione, rivelando che non c’è differenza tra il Tizio di 5 anni fa ed il Tizio di oggi.
Chi parla riconosce in Te lo stesso Tizio al di là dell’indicazione temporale e magari dei diversi vestiti che indossi e del diverso taglio di capelli.
Si tratta di un riconoscimento.
Questa serie di processi mentali è indispensabile nella pratica dei mahavakya, come Tat Tvam Asi, Tu sei Quello.
"Tu" ha a che vedere con il piano di identificazione soggettivo e "Quello"con l’universalità.
Tu ad esempio,è il Jiva e Quello è l’Atman.
Tu è immediato ("Tu" sei ineluttabilmente Tu) mentre Quello è "non immediato".
Se applichiamo a TAT TVAM ASI lo stesso procedimento che abbiamo applicato della frase “Tu sei quel Tizio che 5 anni fa si allenava nel parco con la spada cinese”, si avrà la rimozione delle apparenti contraddizioni.
Tu e il Tizio di 5 anni fa siete apparentemente diversi, ma, eliminando le sovrapposizioni , ovvero la diversità di tempo (oggi e cinque anni fa) e luogo (qui e nel parco) non rimane altro che Tizio
Allo stesso modo il TU "acqua" , per fare un esempio, contenuto in un vaso si identificherà con "l
'acqua del lago" (Quello) in cui il vaso galleggia. 

Nel caso dell'acqua contenuta nel vaso fatto galleggiare nel lago, l'acqua contenuta sarà tvam padhartha e l'acqua del lago sarà tat padhartha.
nel caso del Tizio avremo TU che nell'interpretazione vedantica viene definito tvam padhartha e QUEL TIZIO CHE.. che viene definito Tat padhartha
Il legame, la copula, il ponte trai due ( che si chiama aikya padartha), ovvero il verbo Essere, sarà "effetto"dal processo di trasformazione della mente innescato dalle tecniche (per esempio jahal (jahati) laksanà, ajahal (ajahati)laksanà, jahad-ajahal (bhàga)laksanà.), che svelano il significato implicito della frase " TU SEI QUELLO.

GABBIE D'ORO




E' un dio annichilito, l'uomo.
O un angelo caduto.
L'ho letto un sacco di volte.
l'ho anche scritto, mi pare.
A volte si crede di sentirle le ali.
O magari si sentono davvero.
Proprio lì, tra la schiena e le spalle, nel triangolo misterioso delle scapole.
Sembrano slegate dallo scheletro.
Sono strane ossa le scapole.
Tracce di un passato da pennuti?
Chissà.

Nel muoverle si alzano verso l'alto e pare di sentire un frusciare, come di seta.
Viene voglia di girarsi a guardare, ma ci si ripensa.
Meglio di no.

Si trova un muro contro sole.

O un lampione che bagna di luce la strada della notte.
Si chiudono gli occhi e poi piano piano, con la lentezza ipocrita del bimbo che scarta i regali sotto l'albero, li si riapre.

Quasi sempre l'ombra ci rassicura: niente piume e penne penzolanti dalla schiena.
In fondo è quello che desideriamo.
Sarebbe un bel problema andare in giro con delle grandi ali.

Difficile trovar posto sul tram.
E al cinema sempre in ultima fila, per evitare discussioni imbarazzanti.

Nel periodo della caccia, poi, logicamente, si dovrebbe restar chiusi in casa.

Succede a volte che nell'ombra ci sia qualcosa che non va.
Delle ali piccole e inutili, come quelle dei dodo, estinti per malinconia.
Ci si affretta a nasconderle, o a tagliarle se ci si riesce. 


Una volta, una su mille, si vedono penne gigantesche, come quelle delle aquile dei sogni.

E lì cominciano i problemi.
Che si fa?
Si vola?
In fondo è a quello che servono le ali.
Se ci si lascia andare alla nostalgia del cielo, all'aria fresca che arrossa le gote, alla luce che non finisce mai, sarà difficile tornare indietro.

Le persone che amiamo, le cose che ci appartengono sono laggiù in basso e il volo è così bello che ci fa voglia di andar su , sempre più su.
Fino a sparire.

Brutta parola sparire.
Che fare?

Una soluzione, la più logica, la migliore forse, è quella di costruirsi delle gabbie.
Con le ruote, come i girelli pei bimbi dalle gambe non ancora salde.


Ci sono tre tipi diversi di gabbie.
Il primo ha sbarre di nebbia, una nebbiolina colorata tenuta insieme dalla mente.
Non è una gran gabbia.
Basta che la volontà si annacqui, basta un raggio d'alba e le sbarre si fanno farfalle di sogno.
Difficile non seguirle.

Il secondo tipo di gabbia ha sbarre di ferro.
E' grigio il ferro.
E triste, quasi come il dodo.
Quanto si può resistere? Un mese? Un anno?
Prima o poi ci daremo un gran daffare con lime e lame per metallo.
E unghie e denti, se non bastasse.

La gabbia migliore è quella del terzo tipo.
Una gabbia d'oro.
Ha anche un tetto, a forma di pagoda, sul quale spiccano statue di dei, santi, maestri, con occhi di smeraldo e labbra di rubino.

Andare in giro con la gabbia d'oro è bello.
La gente si ferma a guardarti, ammira le tue ali, e tu, ogni tanto le fai fremere, come la carne degli amanti.
basta un fremito sottile a far applaudire il pubblico.

La gabbia d'oro è bella.
Col tempo attratti dal luccichio e dalla vista di piume e penne, arrivano uccelli a frotte.

Corvi, canarini, piccioni e gazze imitatrici.
Fanno allegria.

Però devi cominciare a curar le sbarre e il tetto.
Devi ripulirli dal guano, lucidarli, e una goccia di profumo, dai, non ci sta mica male.

Le gabbie d'oro non hanno serrature, ma chi è che se ne vorrebbe volar via?

L'essenziale è mostrar le ali.
Far vedere che qualcuno ce le ha.
"Allora pure io potrei farcela! pure io potrei volare!", si dicono l'un l'altro gli spettatori.

Pian pianino la gabbia diventa la cosa più importante.
Nessuno alla fine si chiede se il pennuto che la porta a spasso abbia solcato gli spazi infiniti una volta, una volta almeno.

Non è importante.
l'importante sono i riflessi delle sbarre d'oro, le immagini divine che sorridono dal tetto, e i racconti di voli antichi.

Si insegna a muover le scapole, di tanto in tanto.
In alto in basso, di lato.
Si fanno ruotare per prepararsi a voli che alla fine non è che siano tanto desiderati.

Meglio la gabbia d'oro, meglio mostrar le penne nostre o altrui.

................

Lo yoga è PRATICA.

Quello che conta è l'esperienza del volo.
Le belle letture, le teorie, la "dottrina" dovrebbero venir dopo.
Ci si riconosce nelle parole scritte da generazioni senza nome, e ci si sente meno soli, ché il volo è sempre solitario, è bello quando succede.
Sono belle anche le parole, e ci piace metterle insieme, spostarle, accarezzarle.
Son così belle che cominciamo a farne collezione, e le mettiamo una sull'altra.
Pile e pile di parole si innalzano.
Tra loro vicine.
Per tenerle insieme, facciamo tetti di libri e sopra i libri le statue degli autori.
Alla fine ci troviamo in un bell'universo, ordinato, preciso, tutto basato sul ricordo del volo.
Il dito che indica la luna non è la luna, si era usi dire un tempo.
Però a volte della luna sembra che non glie ne importi niente a nessuno.
Il dito va ad indicare il dito.
E se qualcuno chiama il dito LUNA scrolliamo le grandi ali soddisfatti.


SHANKARA, VYASA E LO YOGA DEL RIPOSO

"Yoga Sutra" di Patanjali è  uno dei testi più citati nel materiale informativo di scuole , circoli, associazioni che si occupano di Hatha, Raja, Bhakti, Kriya, Ashtanga, Bikram, Power ecc. ecc. Yoga, ma a volte ho il dubbio che lo abbiano letto in pochi.

Patanjali (con la coda di serpente) e Vyaghrapada (con le zampe di tigre) 
al tempio di Chidambaram


Il "praticante medio" sa che ci sono gli otto "anga" (Yama, nyama ecc. ) di derivazione Jainista e buddista, sa che "LO YOGA E' LA SOSPENSIONE DELLE MODIFICAZIONI DELLA MENTE", ma se chiedi delle siddhi (poteri paranormali) e della maniere di ottenerle o del rapporto tra Kshana (istante) e Krama (successione di "quadri evento"), che pare siano importanti (tanto importanti!) per Patanjali, fa scena muta, o quasi.
Secondo me varrebbe la pena di leggerseli per intero, gli Yoga Sutra, e di studiarsi anche qualcuno dei migliaia di commenti scritti da yogin e filosofi negli ultimi duemilacinquecento anni.
Un commento agli Yoga sutra assai interessante è quello  di Vyasa (l'autore del Mahabaratha), ripreso e ri-commentato da Shankara bhagavadpada.
Non è facile trovarlo, e lo trovo abbastanza strano: sul Web e in libreria abbondano commenti di studiosi moderni, grammatici, intellettuali, guru, swami e lobsang sconosciuti, ma non si parla quasi mai delle interpretazioni di Patanjali fatte da due tizi che si dice l'abbiano conosciuto di persona e che, si dice, siano due maestri riconosciuti universalmente. 




E' come se ci fosse un commento di Einstein al lavoro di Newton e non lo si citasse mai, concentrandosi invece sulla critica al  filosofo della mela che cade, fatta da un professore di scienze di Guasticce. 

Insomma il commento di Vyasa e Shankara a Patanjali è difficile da reperire, ma se si ha la fortuna di metterci le mani si apre un mondo.
Lo yoga, per Vyasa e Shankara, è "la pratica del samadhi", e non vuol dire affatto unione, come si dice e si crede, ma "RIPOSO", "ABBANDONO".
Shankara dice altre cose che possono apparire stravaganti a chi conosce le interpretazioni usuali degli  yoga sutra.
Tipo che Yama è lo stato di distacco dagli stimoli sensoriali che si ottiene realizzando che BRAHMAN è TUTTO.
E Niyama sarebbe invece il frutto della realizzazione di IO SONO BRAHMAN.
Sembra che Yama e Niyama, non siano prescrizioni, comandamenti, o divieti da imporre con la volontà, ma qualità che insorgono da certi stati realizzativi,
Dice anche, Shankara, che per asana, parlando di Raja Yoga, si intendono posizioni e tecniche specifiche, come mulabhanda in siddhasana.
Ma a cosa che, secondo me è più interessante è la differenza semantica tra unione ( yoga=giogo) e riposo (yoga=abbandono).
In fondo in unione o giogo possiamo sempre vedere un intervento della volontà individuale.
Ciò che dovrebbe essere soggiogato sono desideri, passioni, pensieri, in altre parole l'Ego.
In riposo o abbandono si potrebbe invece leggere il lasciar che la mente compia il suo mestiere.
Che si arrenda al "Gioco degli Dei" e cominci a giocare con loro, come loro, tra loro. 




Tutto è il Brahman.
Noi siamo natura.
In ogni piccola porzione dell'universo, per la filosofia indiana (e per il taoismo, per il buddismo) c'è il tutto.
Noi siamo la natura e imponiamo alla nostra mente di credere di non esserlo.
Lasciare andare, staccarsi, tendere al sahaja (stato naturale) significa imparare a liberarsi dagli steccati che impedidiscono di vedere la realtà così come è.
Per la Fisica moderna esistono dieci dimensioni, ma noi ne vediamo solo tre perché "pensiamo tridimensionale".
Il vuoto è pieno di universi e la nostra visione del mondo  vi si smarrisce. La Realtà dei Veda e della fisica contemporanea  è un infinito mare senza sponde Solo lì  nell'oceano infinito, la mente può finalmente riposarsi.





Per chi volesse avere un'idea del commento di Vyasa e Shankara: Sankaracarya; Patañjali; T. S. Rukmani; Vyasa. Yogasutrabhasyavivarana of Sankara: Vivarana Text with English Translation, and Critical Notes along with Text and English Translation of Patañjali's Yogasutras and Vyasabhasya. Munshiram Manoharlal Publishers

giovedì 28 novembre 2013

IL PORCO, IL VINO E LA CONOSCENZA DI BUDDHA

Spesso, per ciò che riguarda lo yoga, anziché studiare i testi antichi, confrontando il più possibile varie interpretazioni e traduzioni, molti praticanti tentano di adeguare le parole dei maestri alle loro credenze o, peggio, di mettere la firma di quei maestri in calce alle loro riflessioni.

Altre volte, parandosi dietro lo scudo della devozione, si abbraccia una particolare interpretazione senza prendersi la briga di controllare cosa ci sia scritto nel testo originale ( cosa, in tempi di internet e vocabolari on line, piuttosto agevole).
Non so se questo sia un bene o un male.

Di certo alcune credenze moderne si sono ormai sostituite alle verità storiche e se Yogin e Maestri del passato sentissero quanto oggi  si racconta di loro stenterebbero a riconoscersi.


Qualche tempo fa, dopo una serie di accese discussioni sul buddhismo e sulle abitudini sessuali e alimentari dei monaci mi sono riletto "Vita di Milarepa", e sono rimasto un pochino perplesso.
L'edizione che ho è quella di  Adelphi, a cura di Jacques Bacot.
Pg. 161: 

"Così detto [Peta, la sorella di Milarepa] mi diede il cibo e il vino. 
Mangiai e bevvi e immediatamente la mia intelligenza si rischiarò. 
Quella sera la mia devozione ne trasse molto vantaggio." 

Pgg. 161-162-163:
"Qualche giorno dopo Dresse venne a trovarmi insieme a Peta, portandomi carne,burro rancido, tsampa e molta birra[...] Se ne andarono e io mangiai i buoni cibi che avevano portato[...] le mie vene [nadi], per via dell'uso dei cibi cattivi, si erano tutte annodate e non potevano sostenersi. Quindi la birra di Peta le rianimò un poco.
Le offerte di Dzesse
 [carne, burro, Tsampa, farina] finirono per rianimarmi del tutto. 
[...]Conformemente alle prescrizioni del rotolo di carta [ il rotolo sigillato che gli aveva dato il Lama Marpa e che conteneva delle formule e l'indicazione di mangiare cibi nutrienti, ovvero carne, burro, vino, birra....]mi sforzai di realizzare le condizioni di corpo, respiro, pensiero. 
[...] Capii che la via delle inclinazioni sensuali, che è la via dei tantra, non poteva essere una via normale praticata da tutti. [...] Ne ero debitore a Peta e a Dzesse [...]"

Pg. 180:
"Quand'anche io volessi sopprimere la mia virilità non potrei farlo."



Considerando (1) che Milarepa è considerato il più grande yogi tibetano,
(2)che Milarepa è ineluttabilmente buddista, (3)che il suo lignaggio è quello di Naropa, ovvero dell'iniziazione sessuale, non è che il testo sorprenda molto.
Le parole dello Yogin tibetano stridono però con l'idea che la maggior parte delle persone ha dello yoga, del buddismo e delle pratiche corporee.
Shakyamuni è morto per una indigestione da carne di porco, ma quando lo racconto ai miei amici vegani o non ci credono o fanno finta di non aver sentito.
Ovviamente questo non trascurabile dettaglio (la morte di Shakyamuni per indigestione di maiale) non significa che Buddha consigliasse di uccidere degli animali o mangiare carne, ma a me viene spontanea una domanda: "siamo sicuri che Shakyamuni, che ha mangiato cibo animale fino a morirne, abbia mai proibito agli altri di mangiarne?"
Non sarà che alcune prescrizioni per i singoli allievi sono state interpretate come insegnamento generale (o universale)?
Milarepa e Shakyamuni per me erano, sono, maestri autentici (potrei dire "I" MAESTRI]
E sono stati, sono, dei grandi uomini.
A volte mi viene il sospetto che li si voglia trasformare, loro come molti altri, in santini, figurine dipinte da usare come cura per l'ansia di incompiutezza.
Esempi irraggiungibili utili per giustificare le nostre meschinità.
Milarepa e Shakyamuni, sono esseri umani in ciccia, muscoli ed ossa. mangiano carne, a volte, bevono alcolici, fanno sesso.
Sono lì, davanti a noi e ci dicono: -"Noi possediamo la conoscenza, se volete possiamo darla anche a voi...."-
Ma noi la vogliamo veramente la conoscenza di cui parlano Shakyamuni e Milarepa?


mercoledì 13 novembre 2013

TAO E BRAHMAN


Taoismo, Vedanta e Zen sono nomi diversi che indicano la medesima linea di insegnamento. 


Questa identità di teorie e pratiche emerge anche dalle parole usate nei testi.
Un termine che torna spessissimo nelle pratiche operative taoiste è 丹 dān​ ( Tan) che significa Cinabro, rosso, solfuro di mercurio... e indica il movimento delle energie sottili.
 Dan tien sono i centri della fronte, del cuore e del ventre, nei dan  sono gli esercizi "interni" di circolazione delle energie, wai dan gli esercizi "esterni" ecc. ecc. In cinese l'ideogramma  dān​ [formato dai segni 月 yuè​ che significa luna e bǔ​ che significa analizzare, esaminare, scegliere, divinare (nel senso di fare oracoli)] assume, in genere, il significato di "campo interno" ovvero di quell'insieme di energie che talvolta  nello Yoga viene chiamato "corpo interno" e tal'altra Prana. Nello yoga, con pronuncia pressoché identica si trova la radice तन् tan  in तन्त्र tantra e in ताण्डव tâṇḍava.
Da tan derivano l'italiano "danza", il francese "danse", l'inglese "dance", il tedesco "tanz"... 
तन् tan indica il corpo in movimento o le energie che muovono il corpo.
Dall'assonanza tra il cinese  dan  e il sanscrito tan possono  scaturire una serie di riflessioni che secondo me, potrebbero portare alla dimostrazione non di una vicinanza o un'analogia tra le tecniche operative cinesi e quelle indiane, ma di una identità sostanziale. L'esperto di Qi Gong Nei Dan cinese, colui che lavora sullo 田中 Tián​zhōng​, non è altri che il "conoscitore del campo" di cui parlano le upanishad.
Cambiano i nomi, o forse solo la pronuncia, ma le tecniche operative, il loro fine, l'insegnamento generale sono gli stessi.
L'advaita vedanta, il taoismo, lo zen sarebbero nomi diversi che indicherebbero non diversi rami tradizionali, ma un unica linea di insegnamento.



Se immaginiamo la manifestazione dell'Essere come una piramide avremo al vertice dell'insegnamento tradizionale taoista un "uno senza secondo":

"Yuan-shih T'ien-tsun"




Che corrisponde, nello yoga al brahman nirguna  o paramashiva, il principio che "comprende" l'uno primordiale, la causa di tutta la manifestazione formale ed informale, brahman saguna o isvara, che potremo definire "corpo causale".
Anche nel taoismo c'è un corpo causale universale: è l'imperatore di Giada,  

"Yu-huang"



Dal corpo causale nel taoismo procedono tre dei che hanno "tre qualità " diverse corrispondenti a manifestazione, conservazione, e assorbimento/distruzione, ovvero gli altissimi: 

Yu-ch’ing= Giada Puro,
Shang-ch’ing= Più-alto-Puro 
T’ai-ch’ing= il puro supremo.




Che corrispondono a ConfucioBuddha Shakyamuni e  Lao tzu 
Le analogie con la Trimurti indiana sono evidentissime: Brahma è rappresentato con i rotoli dei Veda, così come Confucio ha i rotoli della legge, Lao tzu se ne va a zonzo su un toro, esattamente come Shiva e Buddha, in India, è  considerato un avatar di Vishnu.



L'assonanza tra le parole dei maestri taoisti e le scritture del vedanta è impressionante, per darne l'idea metto a confronto alcune sentenze di lao tzu (laozi) con dei passi delle upanishad e di Shankara. Non credo ci sia bisogno di commenti:

Si legge nel Laozi zhongjing 
[riferimento bibliografico: Fabrizio Pregadio, "Early Daoist Meditation and the Origins of Inner Alchemy," in Benjamin Penny, ed., Daoism in History-Essays in Honour of Liu Ts'un-yan, 122 (London: Routledge, 2006) 
NB.La traduzione/interpretazione è mia e quindi sarrebbe da verificare... Per la parola Huangtian, - che con lo stesso suono può significare sia  il cielo dell'imperatore sia il cielo giallo - ho preferito usare il secondo significato]
"Il Signore del dao è l'uno [Yi].
Egli dimora nel cielo giallo divino [di Dio]"

Così invece la Mundaka upanishad II,3,10:

"Nel Sublime aureo involucro dimora Brahman [....] 
Egli è colui che splende, luci nelle luci, 
l'Uno che conobbero i conoscitori[...]"


Laozi zhongjing:
Il Sè è figlio del Tao: Questo è quello che è.

Mandukya upanishad, 2:
"Tutto questo è Quello (Il Brahman): 
questo Sè (atman) è il Brahman che possiede quattro pàda"


Laozi, zhongjing:
"Negli esseri (umani) c'è Lui, non solo io"


Brahmabindu, 20:
"[...] Lui dimora in tutti gli esseri. 
Quello, Vasudeva sono io"

Laozi, zhongjing:
"Questo[il Sè figlio del Tao] siede 
con la faccia rivolta a Sud su un trono di Giada e Perle"

Samkara, dakshinamurti stotra:
"Dinanzi a Questo (idam) che siede con la faccia rivolta a sud, 
mi inchino (nama) riconoscendolo incarnazione del Guru"

L'ATTORE E IL MISTERO DELLA PRIMA

Ogni persona (parola che in etrusco significa "maschera") è la rappresentazione "artistica" di un'idea o divinità con determinate caratteristiche , funzioni ed attributi, anzi potremmo dire che è la forma visibile di una vibrazione.





La "Persona" con la "P" maiuscola è il guerriero, l'amante divino, la danzatrice sacra che in qualche modo a "livello vibratorio(?)"vivono dentro di noi. 
A volte, nei momenti di crisi o di grande intensità emotiva la Persona, la divinità, emerge. 
Possiamo chiamare questa Persona "Corda Coscienziale". 
Una particolare vibrazione, una coloritura o qualità della vibrazione fondamentale, l'Aum.
E' relativamente facile, una volta "accordata" la propria corda coscienziale, vibrare all'unisono con l'universo. 
E' difficilissimo, nella nostra società svelare la propria tonalità nel frastuono creato dagli innumerevoli piccoli io che si agitano per fingere di avere un'esistenza propria. 
Tutti i piccoli io che compongono ciò che definiamo (con involontaria ironia) identità inalienabile o individualità non sono altro che echi della corda coscienziale, riflessi della Persona che dorme dentro di noi, e, in quanto riflessi, ripropongono, in scala, i medesimi meccanismi che hanno condotto all'individuazione, alla prima determinazione ovvero alla creazione del mondo sensibile.





Se lo scopo della vita, secondo lo Yoga, è l'identità con l'assoluto, i piccoli io lottano per aggregarsi in un qualcosa che possa rassomigliare all'Essere e tendono a mitizzare ed esaltare le singole individualità per costruire un feticcio ad immagine del dio unico. 
La "realizzazione"  diviene sinonimo di SUCCESSO, di pieno sviluppo delle "proprie" possibilità creative e produttive. 
Non potendo, il frammentato io empirico, lavorare sul piano della qualità, si riduce a cercare la risoluzione dell'ansia di incompiutezza nella quantità'. 
Se lo scopo del capofamiglia è quello di garantire la sopravvivenza di moglie e figli (cibo quotidiano, abiti per proteggersi dal freddo, un tetto per proteggersi dalla pioggia), lo sciocco io empirico arriva a pensare  che se è bene avere pane averne tanto con l'aggiunta di companatico, dolce, frutta, amaro e caffè sarà meglio. 
Non si cerca più di garantire la sopravvivenza dei familiari, ma di mostrare la possibilità di sprecare. 
Se è bene procurarsi degli abiti per proteggersi dal freddo (pensa l'io empirico) avere tanti abiti sarà meglio. 
Se è bene costruirsi un tetto per proteggersi dalla pioggia costruirsi cinque o sei case sarà meglio. 

E ogni volta che lottiamo per stare meglio (ovvero avere di più) ci allontaniamo dallo stato naturale.




Ahamkara, che si traduce con ego, nello lo yoga è una funzione dell'"organo interno".
Ahamkara permette di  conoscere tramite la discriminazione tra interno ed esterno per cui è naturale che  si rivolga all'esterno.
Il problema nasce dall'identificazione della "Persona" con lo strumento del conoscere.
Ahamkara serve a "prendere le misure"ed è quindi incapace di percepire la "qualità", e per questo che  l'io fittizio si dedica, spasmodicamente,alla ricerca della "quantità", ma questa carenza qualitativa alla lunga condurrà insoddisfazione, dolore, senso di inadeguatezza e di inutilità. 




Nel fare teatro ho avuto modo di osservare uno strano fenomeno: 
più si avvicina la prima e più  l'emozione aumenta (per tutti: attori, costumisti, scenografi, regista). 
Un'eccitazione palpabile che diviene quasi insopportabile nell'attimo che precede, la sera dell'evento, l'apertura del sipario. 
Il giorno seguente (a prescindere dal responso del pubblico) l'energia è azzerata. 
La seconda replica di uno spettacolo è  penosa: gli attori, i tecnici, il regista sembrano tutti stanchi, mogi, annoiati, distratti. 
Dove è finita la gioia creatrice che li faceva tremare di passione fino a poche ore prima? 



Il lavoro dell'attore, un tempo sacro, è basato sull'ascolto e sull'introspezione. 
Sulla ricerca dei misteriosi processi psichici che danno autenticità ai gesti ed alle parole. 
L'attore o il danzatore lavorano (dovrebbero lavorare) per mettersi a nudo. 
La sera della "Prima" l'eccitazione è a mille perché si sta per "costruire" qualcosa. 
Si sta per realizzare qualcosa. 
il giorno dopo l'io sciocco ed ingenuo è costretto ad ammettere che quel qualcosa è stato si creato e realizzato, ma, non ha prodotto nessun mutamento sostanziale.
Non è successo ciò che si sperava: l'io è rimasto diviso!
L'io diviso non ha nessuna possibilità di risalire alla"sorgente" della conoscenza, perché  la sua natura lo porta ad apprezzare la quantità e non la qualità.
Le luci del palcoscenico e l'applauso del pubblico non hanno innescato l' incendio catartico, ma un fuoco fatuo che lascia inalterata la sensazione di incompiutezza, compagna fedele dell'uomo moderno dalla nascita alla morte. 
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domenica 10 novembre 2013

PORFIRIO E I VEDA

Doveva essere un tipo particolare Porfirio, il suo maestro Plotino lo definiva poeta, filosofo e ierofante.Ierofante è il termine con cui veniva indicato il sacerdote incaricato, durante i Misteri di Eleusi, di celebrare i riti e di far luce sui simboli sacri. 
Certe sue "sentenze" ricordano da vicino i  versi vedici o i sutra i Patanjali e di Shankara. La mia idea, è che l'insegnamento dello yoga e quello dei misteri egizi o greci sia legato da più di un rapporto di simiglianza.
Credo si tratti dello stesso insegnamento.







1) "La morte (thànatos) è di due tipi. La prima, più conosciuta, avviene quando il corpo si separa dall'anima. La seconda, propria dei filosofi (philosòphon), quando l'anima si separa dal corpo. La seconda non accade dopo la prima"
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 9)



2) "Tutto è in tutto (pànta men en pàsin)" (Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 10)




3) "Vita (zoè) si dice in molti sensi: vita della pianta (fitou), dell'animale (empsìkou), dell'essere intellettuale (noerou), della natura (fiseos), dell'Anima (psikès), dell'Intelligenza (nou), di Colui che è al di sopra (tou epèkeina)" (Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 12)


4) "... il corpo cosmico (kosmikou somatòs) si rivolge all'Anima ... l'Anima si rivolge all'Intelligenza e l'Intelligenza al Primo Principio ... Ogni realtà non solo aspira a Dio, ma ne gode secondo le sue possibilità"
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 30)


5) "Dio (theòs) è ovunque perché non è in nessun luogo ... l'Intelligenza (nòus) è ovunque perché non è in nessun luogo, l'Anima (psikè) è ovunque perché non è in nessun luogo ... l'Intelligenza è in Dio ... l'Anima è nell'Intelligenza e in Dio ... il corpo (sòma) è nell'Anima, nell'Intelligenza e in Dio" 
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 31)


6) "... Il fatto che ci sia l'Anima universale non impedisce che le molte anime sussistano in lei ... Tutte le anime sono una sola, mentre quella universale è diversa da tutte"
 
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 37)

NESSUNO HA MAI VISTO SOCRATE UBRIACO.

Socrate era un guerriero, un grande guerriero, e beveva come una spugna.
Sembra strano. Eppure è così che ce lo descrive Platone.


Nel Simposio racconta di un gruppo di amici (le menti più acute dell'Atene del tempo) che si ritrova per festeggiare la vittoria di Agatone in una competizione teatrale.
Sembrano divertirsi un mondo,  bevono, scherzano e discutono di Amore.
Ad un certo punto arriva, ubriaco fradicio, Alcibiade.
Socrate trasalisce e chiede aiuto  al padrone di casa:

-" Difendimi da Alcibiade .... in sua presenza non posso né guardare né parlare con nessuno senza che, geloso ed invidioso compia azioni incredibili, 
mi insulti e trattenga a stento le mani... non permettere che si lasci andare. 
Fa qualcosa, tenta una riconciliazione o difendimi, perché ho un vero terrore della follia di costui e della sua passione di amante"-

Alcibiade si arrabbia:
-" Tra me e te non è possibile nessuna riconciliazione ma mi vendicherò  un'altra volta"-



Platone narra l'episodio con dovizia di particolari come se la lite da scolaretti trai due fosse di grande importanza.
Il Simposio è un libro sorprendente.
Sorprende coloro che conoscono superficialmente Platone, perché propone un Socrate lontano anni luce dall'immagine del filosofo serio, pacifico e un pò noioso che proviene dai ricordi del liceo o dai programmi televisivi.
Socrate, che non ha rivali nel bere, è aggressivo, polemico e soprattutto è un grande guerriero.
L' odio  di Alcibiade per il Maestro nasce dall'immensa ammirazione e dall'amore , non corrisposto, che egli nutre per Socrate dai tempi della  guerra contro Troia ( cfr. "Simposio"- a cura di G.Colli, Adelphi editrice, 219 e):

-"...partecipammo insieme alla campagna di di Potidea ..... 
Anzitutto invero, rispetto alle fatiche, 
egli era superiore non soltanto a me ma a tutti gli altri.

Ogni volta che, tagliati fuori da qualche parte, 
come appunto accade in guerra, eravamo costretti a rimanere senza cibo, 
nel sopportare ciò gli altri, di fronte a lui, non valevano nulla, e quando poi le provviste erano abbondanti egli solo era in grado di goderne, tra le altre cose nel bere: su questo era riluttante, ma qualora vi fosse forzato vinceva tutti e, cosa più mirabile di tutte, nessun uomo ha mai visto Socrate ubriaco.....
Inoltre nel sopportare i rigori dell'inverno, in quel paese gli inverni sono terribili, faceva meraviglie.
In particolare una volta che ci fu un gelo quanto mai atroce e tutti non uscivano dai rifugi oppure si coprivano con una quantità davvero straordinaria di indumenti.... costui usciva in mezzo agli altri col solito mantello di sempre e, a piedi nudi, camminava sul ghiaccio più agevolmente degli altri con le loro calzature.
Gli altri lo guardavano con sospetto convinti che volesse umiliarli.
..... Un giorno .... essendosi concentrato a meditare.... a partire dall'alba era rimasto in piedi nello stesso posto a riflettere.....fermo ad indagare.
Si giunse a mezzogiorno...."-

Per farla breve Socrate rimane immobile a meditare fino all'alba del giorno successivo.
All'alba fa la "preghiera al sole" (?)e si accinge al combattimento.
Sembra un Samurai, più che un filosofo greco.O forse sono i guerrieri giapponesi che somigliano...


In questo brano del Simposio ci sono alcuni punti su cui dovremmo riflettere:

1)Socrate che medita per un giorno intero e poi fa la preghiera al sole (e non è l'unica parte del simposio in cui si parla di tecniche di meditazione).

2)Socrate che mostra agilità e di resistenza fisica non comune e, viene detto esplicitamente nel seguito del brano che ho copiato, che mostra doti di guerriero paragonabili a quelle degli eroi omerici.

3) Socrate che risponde ad Alcibiade in maniera  sarcastica.

Alcibiade è uno dei giovani più belli , più ricchi e brillanti o addirittura il più bello, il più ricco e il più brillante, di Atene e  vuole donarsi anima e corpo a Socrate.
Vuole essere sua allievo e suo amante.
Socrate lo rifiuta e dopo aver ascoltato per l'ennesima volta le dichiarazione d'amore del giovane (218 e)
-"... disse, con molta dissimulazione.... e secondo la sua consuetudine: 
mio caro Alcibiade c'è caso che tu realmente non sia stupido se le cose che dici di me sono proprio vere e se dentro di me esiste una forza grazie alla quale tu potresti diventare migliore: di certo avrai visto in me una bellezza smisurata e di gran lunga superiore alla avvenenza che ti appartiene. 
Se a questo punto accorgendoti di tale bellezza tu cerchi di venire a patti con me e di scambiare bellezza con bellezza ti proponi allora di trarre non poco vantaggio a mie spese tentando di acquistare...la verità in luogo dell'apparenza e intendendo realmente avere armi d'oro in cambio di quelle di bronzo"-
Che strano Socrate viene dipinto nel Simposio!
Un guerriero infaticabile e privo di ogni paura che prima di combattere recita la preghiera al sole....
Un maestro che, in pratica,dice all'allievo, davanti ad un folto auditorio: 
-"che ti sei messo in testa, ragazzino? vuoi scambiare la tua apparente bellezza per la bellezza autentica che alberga dentro di me?"-