venerdì 29 novembre 2013

GABBIE D'ORO




E' un dio annichilito, l'uomo.
O un angelo caduto.
L'ho letto un sacco di volte.
l'ho anche scritto, mi pare.
A volte si crede di sentirle le ali.
O magari si sentono davvero.
Proprio lì, tra la schiena e le spalle, nel triangolo misterioso delle scapole.
Sembrano slegate dallo scheletro.
Sono strane ossa le scapole.
Tracce di un passato da pennuti?
Chissà.

Nel muoverle si alzano verso l'alto e pare di sentire un frusciare, come di seta.
Viene voglia di girarsi a guardare, ma ci si ripensa.
Meglio di no.

Si trova un muro contro sole.

O un lampione che bagna di luce la strada della notte.
Si chiudono gli occhi e poi piano piano, con la lentezza ipocrita del bimbo che scarta i regali sotto l'albero, li si riapre.

Quasi sempre l'ombra ci rassicura: niente piume e penne penzolanti dalla schiena.
In fondo è quello che desideriamo.
Sarebbe un bel problema andare in giro con delle grandi ali.

Difficile trovar posto sul tram.
E al cinema sempre in ultima fila, per evitare discussioni imbarazzanti.

Nel periodo della caccia, poi, logicamente, si dovrebbe restar chiusi in casa.

Succede a volte che nell'ombra ci sia qualcosa che non va.
Delle ali piccole e inutili, come quelle dei dodo, estinti per malinconia.
Ci si affretta a nasconderle, o a tagliarle se ci si riesce. 


Una volta, una su mille, si vedono penne gigantesche, come quelle delle aquile dei sogni.

E lì cominciano i problemi.
Che si fa?
Si vola?
In fondo è a quello che servono le ali.
Se ci si lascia andare alla nostalgia del cielo, all'aria fresca che arrossa le gote, alla luce che non finisce mai, sarà difficile tornare indietro.

Le persone che amiamo, le cose che ci appartengono sono laggiù in basso e il volo è così bello che ci fa voglia di andar su , sempre più su.
Fino a sparire.

Brutta parola sparire.
Che fare?

Una soluzione, la più logica, la migliore forse, è quella di costruirsi delle gabbie.
Con le ruote, come i girelli pei bimbi dalle gambe non ancora salde.


Ci sono tre tipi diversi di gabbie.
Il primo ha sbarre di nebbia, una nebbiolina colorata tenuta insieme dalla mente.
Non è una gran gabbia.
Basta che la volontà si annacqui, basta un raggio d'alba e le sbarre si fanno farfalle di sogno.
Difficile non seguirle.

Il secondo tipo di gabbia ha sbarre di ferro.
E' grigio il ferro.
E triste, quasi come il dodo.
Quanto si può resistere? Un mese? Un anno?
Prima o poi ci daremo un gran daffare con lime e lame per metallo.
E unghie e denti, se non bastasse.

La gabbia migliore è quella del terzo tipo.
Una gabbia d'oro.
Ha anche un tetto, a forma di pagoda, sul quale spiccano statue di dei, santi, maestri, con occhi di smeraldo e labbra di rubino.

Andare in giro con la gabbia d'oro è bello.
La gente si ferma a guardarti, ammira le tue ali, e tu, ogni tanto le fai fremere, come la carne degli amanti.
basta un fremito sottile a far applaudire il pubblico.

La gabbia d'oro è bella.
Col tempo attratti dal luccichio e dalla vista di piume e penne, arrivano uccelli a frotte.

Corvi, canarini, piccioni e gazze imitatrici.
Fanno allegria.

Però devi cominciare a curar le sbarre e il tetto.
Devi ripulirli dal guano, lucidarli, e una goccia di profumo, dai, non ci sta mica male.

Le gabbie d'oro non hanno serrature, ma chi è che se ne vorrebbe volar via?

L'essenziale è mostrar le ali.
Far vedere che qualcuno ce le ha.
"Allora pure io potrei farcela! pure io potrei volare!", si dicono l'un l'altro gli spettatori.

Pian pianino la gabbia diventa la cosa più importante.
Nessuno alla fine si chiede se il pennuto che la porta a spasso abbia solcato gli spazi infiniti una volta, una volta almeno.

Non è importante.
l'importante sono i riflessi delle sbarre d'oro, le immagini divine che sorridono dal tetto, e i racconti di voli antichi.

Si insegna a muover le scapole, di tanto in tanto.
In alto in basso, di lato.
Si fanno ruotare per prepararsi a voli che alla fine non è che siano tanto desiderati.

Meglio la gabbia d'oro, meglio mostrar le penne nostre o altrui.

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Lo yoga è PRATICA.

Quello che conta è l'esperienza del volo.
Le belle letture, le teorie, la "dottrina" dovrebbero venir dopo.
Ci si riconosce nelle parole scritte da generazioni senza nome, e ci si sente meno soli, ché il volo è sempre solitario, è bello quando succede.
Sono belle anche le parole, e ci piace metterle insieme, spostarle, accarezzarle.
Son così belle che cominciamo a farne collezione, e le mettiamo una sull'altra.
Pile e pile di parole si innalzano.
Tra loro vicine.
Per tenerle insieme, facciamo tetti di libri e sopra i libri le statue degli autori.
Alla fine ci troviamo in un bell'universo, ordinato, preciso, tutto basato sul ricordo del volo.
Il dito che indica la luna non è la luna, si era usi dire un tempo.
Però a volte della luna sembra che non glie ne importi niente a nessuno.
Il dito va ad indicare il dito.
E se qualcuno chiama il dito LUNA scrolliamo le grandi ali soddisfatti.


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