Basta sfogliare un quotidiano o andare su un qualsiasi forum internettiamo, anche di cucina per trovare la pubblicità di corsi di meditazione: meditazione zen, advaita, taoista, buddista, meditazione immaginale (?), meditazione karmica, meditazione con la spada...
Sicuramente è un bene che ci sia tanta offerta, ma ogni tanto, con pizzico di malizia, mi chiedo se le migliaia di istruttori che, presumo in buona fede, girano per palestre, circoli culturali e sale congressi insegnando a meditare, sappiano veramente di cosa parlano.
A leggere i dépliant informativi meditare deve proprio essere una gran cosa: "mette in contatto con il proprio sé", "permette di gestire lo stress", "aiuta a sviluppare i propri talenti", "risveglia il guerriero (?) interiore", "guarisce le malattie (psicosomatiche e non solo)", e risveglia il desiderio sessuale.
La cosa più strana, per me che pratico yoga da quarant'anni, è che si propone la meditazione come una disciplina o appunto una cura, svincolata dalle altre "tecniche".
Già perché la meditazione è una delle fasi, più propriamente tecniche, del sadhana (addestramento) dello yoga.
In sanscrito si dovrebbe dire Nididhyasanam, ma è un termine che si trova abbastanza raramente. Si preferisce usare la sua forma contratta "dhyana"
Tradurre Nididhyasanam o dhyana con meditazione, a dir la verità, non sarebbe nemmeno tanto giusto: quello che la maggior parte di noi occidentali intende per meditazione, in sanscrito è mananam, che sta per "usare la mente", ma diciamo che non è il caso di mettersi spaccar capelli in quattro....
La radice di nididhyasanam è dhyo–dhy che significa vedere, osservare ed è tradotta con Chan in cinese che i giapponesi leggono Zen;
āsana significa postura, ma anche "trono" o "seggio" e in giapponese si può tradurre con sei za, per cui za zen, alla fin fine, non è altro che la traduzione letterale di nididhyasanam.
Le prime due sillabe, Nidi vogliono dire "brillare sopra", ma è anche una maniera per indicare sia il brahman sia (nidhi) un tesoro.A pensarci bene il significato profondo di za zen o nididhyasanam potrebbe essere proprio questo: "stare seduti ad osservare il tesoro", che secondo me è una definizione fantastica.
Questo tesoro consiste nel far convergere tutte le energie mentali [एकाग्रता ekāgratā] in un unico flusso, detto प्रवाह pravāha o निर्झरी nirjharī o निरोध nirodha, che nello zen viene indirizzato in un azione fisica (tiro con l'arco, estrazione della spada , calligrafia ecc.) o in un koan, esattamente come avviene nello yoga, con asana, sequenze e mantra.
Le prime due sillabe, Nidi vogliono dire "brillare sopra", ma è anche una maniera per indicare sia il brahman sia (nidhi) un tesoro.A pensarci bene il significato profondo di za zen o nididhyasanam potrebbe essere proprio questo: "stare seduti ad osservare il tesoro", che secondo me è una definizione fantastica.
Questo tesoro consiste nel far convergere tutte le energie mentali [एकाग्रता ekāgratā] in un unico flusso, detto प्रवाह pravāha o निर्झरी nirjharī o निरोध nirodha, che nello zen viene indirizzato in un azione fisica (tiro con l'arco, estrazione della spada , calligrafia ecc.) o in un koan, esattamente come avviene nello yoga, con asana, sequenze e mantra.
Il mantra vedantico Ko'ham ad esempio, è (anche) un Koan, e così come i Koan vengono assegnati ai monaci buddisti e ai samurai, il Ko'ham viene assegnato ai monaci degli Shankaramath e agli yogin
"Monaci", "samurai" e "yogin", cioè praticanti esperti per i quali la meditazione è solo una delle fasi del sadhana.
La meditazione sul Ko'ham non è una riflessione (mananam), ma qualcosa d'altro.
"Monaci", "samurai" e "yogin", cioè praticanti esperti per i quali la meditazione è solo una delle fasi del sadhana.
La meditazione sul Ko'ham non è una riflessione (mananam), ma qualcosa d'altro.
Qualcosa che porta alla "autentica" comprensione delle scritture e quindi al sahaja samadhi o stato naturale (permanente) della mente, una cosetta leggera, insomma.
Per andare sul personale, quando ho lavorato con i monaci della setta Gelugpa, mi facevano mettere in padmasana (la posizione a gambe incrociate) con gli occhi fissi sulla "gobbetta" (non sulla punta!) del naso, controllavano fino allo sfinimento l'allineamento di schiena e testa, e la posizione delle mani e mi chiedevano di meditare dopo 108 ripetizioni di un mantra (japa). Considerando che all'inizio, si lavorava su tre mantra alla fine, tra preparazione della posizione, ascolto della respirazione, recitazione e meditazione, si stava in padmasana una media di tre ore, un agonia!
Mi chiedo (polemicamente, è chiaro): ammesso e non concesso che i miei istruttori non fossero dei pazzi pericolosi, siamo sicuri che la meditazione di cui si parla nei corsi di counseling filosofico o di marketing sia quella roba di cui parlano Patanjali, Shankara o Milarepa?
Za zen significa star seduti ad osservare il tesoro, ma cosa è che luccica là dentro? Oro e diamanti o vetro ed ottone?
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