mercoledì 6 novembre 2013

IL VUOTO, LA FORMA E LO SPAZIO COSCIENTE

Non sono mai riuscito a capire bene la differenza tra "Spazio" e "Vuoto".
Se qualcuno mi dice "fammi spazio" vuol dire che devo  spostarmi e allontanarmi da lui in modo da mettere una porzione di vuoto tra di noi. Ma poi il vuoto non è che sia proprio vuoto: c'è l'aria e la terra e un sacco di altra roba.
Sembra quella vecchia pubblicità dei cioccolatini dove una cappelluta e ammiccante nobildonna faceva sdilinquire Ambrogio, il maggiordomo mostrandosi affamata "ma la mia non è proprio fame...": lo spazio è vuoto ma non è proprio vuoto.


Il vuoto  si può conoscere solo al negativo, per la sua possibilità di essere riempito.
E lo spazio può essere conosciuto solo grazie a ciò che lo delimita, la forma.

La forma, frutto dell'evoluzione/proiezione di un archetipo, è ciò che "qualifica" lo spazio.

Cerco di spiegare cosa significa, per me, "evoluzione/proiezione di un archetipo":
un'automobile è una evoluzione/proiezione del carro  nel senso che se non ci fosse stata l'idea del carro, l'auto non potrebbe esistere. Il carro a sua volta è una evoluzione/proiezione della ruota e la ruota lo è del piede. 
Il piede è in questo caso l'archetipo.
Lo so che sembra roba idiota, ma credo che non lo sia.
Per comprendere lo yoga bisogna imparare a pensare come i rishi e i siddha, bisogna, cioè, cogliere quei legami tra microcosmo e macrocosmo e tra i singoli principi della manifestazione che sono la base teorica dello yoga.
 Da ognuno dei cinque elementi della fisica indiana, ad esempio, [spazio, vento, fuoco, acqua, terra] prendono vita una percezione, una delle cinque azioni fondamentali, un organo di senso, un organo di azione ecc. ecc.
Per rimanere all'esempio del piede-ruota, carro-macchina, il principio fondamentale è Fuoco/luce, dal Fuoco/luce "procedono", la vista, l'azione del muoversi, l'occhio e il piede, collegati, nel corpo umano al chakra dell'ombelico [nabhi o manipura cakra] ed al "suono seme" ram [NB. si badi bene che non si tratta di un impianto teorico nato da una mente disturbata, ma di legami veri, sperimentabili nel corso della pratica].



La forma, frutto dell'evoluzione/proiezione di un archetipo, è ciò che "qualifica" lo spazio.
Lo spazio delimitato da un pavimento, un soffitto e quattro mura io lo definisco stanza.
In termini assoluti non sarà diverso dallo spazio delimitato da un teiera, ma la forma della stanza e della teiera ne qualificano il contenuto e ne mostrano la funzione.
Se prendo una bustina di tè, la metto sul pavimento di una stanza e ci verso sopra dell'acqua bollente potrò anche dire che ho preparato il tè, ma questo si spargerà sulle mattonelle e leccare il pavimento fa brutto.
Se ci pensa non cambiano né la natura del tè né la natura dell'acqua né la natura dello spazio.
Cambia solo la forma.
La stanza e la teiera, forme che qualificano lo spazio delimitandolo in maniera diversa, per svolgere la loro diversa funzione, devono avere delle aperture.
A cosa servirebbero una teiera senza beccuccio e con il coperchio incollata ed una stanza senza porte?
La forma non basta. Se lo spazio interno alla teiera e lo spazio interno alla stanza non avessero possibilità di comunicare sarebbero inutili: non potrebbero svolgere la loro funzione e perderebbero quindi il carattere di necessità.



Il corpo umano concettualmente, non differisce punto da una teiera o da una stanza: è un involucro con delle aperture che permettono la comunicazione tra spazio interno e spazio esterno:
 gli occhi, le orecchie, le narici, la bocca, i genitali e l'ano.
 Questo  significano i passi delle scritture in cui si parla delle "nove bocche" del corpo energetico e del corpo grossolano.
Le nove aperture hanno il compito di mettere in comunicazione spazio interno e spazio esterno per permettere la conoscenza, ovvero la discriminazione tra Io [lasciando perdere le teorie freudiane con "Io" si intende tutta la roba compresa nello spazio interno] e Questo [tutta la roba compresa nello spazio esterno].
Così come la teiera è costruita in modo da poter ospitare il tè e renderlo fruibile dallo sperimentatore, così il corpo sarà costruito in modo da ospitare l'Io e renderlo oggetto di conoscenza. 
E come il tè rimarrebbe tè, in termini assoluti, anche se sparso sul pavimento, così l'io dovrebbe rimanere tale anche se non ospitato dal corpo grossolano, solo che , come il tè versato per terra, sarebbe difficilmente "fruibile" (e probabilmente avrebbe pure un cattivo sapore).
L'analogia teiera/corpo umano, molto usata in Cina e Giappone [in India si preferisce parlare di "vaso"] funziona fino a un certo punto.
La teiera è la forma che permette la fruizione del tè da parte dello "sperimentatore" [munito di una tazza, si spera].
Il corpo/teiera è la forma che permette di fruire dell' Io/tè.
Ma il "fruitore" chi è?
Lo spazio se lo limitiamo in una teiera, una stanza o un corpo umano, appare "qualificato" in maniera diversa.
Ma questo termine "qualificato" può essere ingannevole.
In qualche modo quando lo spazio si trova all'interno di una teiera "decide" di ospitare il tè, quando si trova all'interno di una stanza "decide" di ospitare la "vita quotidiana".
All'interno del corpo è lui a "decidere" di ospitare l'Io!
C'è uno spazio interno ["Io", che in questo caso nello yoga viene detto chitta akasha o spazio della memoria] c'è uno spazio esterno [l'ambiente che "Io" può conoscere, maha akasha o grande spazio] e ci sarà un'altro spazio che comprende sia "Io" che l'ambiente che "decide" di ospitare gli altri due.
Questo spazio è chiamato in sanscrito chit akasha o spazio senziente, ed è la cosa che più di ogni altra si avvicina alla definizione  di Dio: "infinito spazio cosciente"

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