mercoledì 30 ottobre 2013

PROIEZIONE E QUALIFICAZIONE

Accade a volte che persone di grande intelligenza accostandosi al pensiero indiano riescano ad avere una panoramica generale, a volte approfondita, del maestoso impianto filosofico del non dualismo.
Le gocce di "psichico" che in loro emergono dalla maschera del corpo fisico gli fanno credere di "essere".
Quando queste gocce per una serie di motivi inesplicabili si ritirano lasciando solo la comprensione intellettuale può nascere una specie di rabbia di disperazione addirittura di isteria. 




Questo conduce spesso ad interminabili discussioni sul sesso degli angeli, altre al tentativo di proporsi come maestri illuminati o creatori di nuove filosofie e religioni.
C'è una specie di ironia nella qualificazione (Lila?).
Ci sono yogin che vivono certi stati di alterazione percettiva, sperimentano la rottura dei livelli dell'io e rifiutando la cosa, cercano delle teorie consolatorie, delle giustificazioni scientifiche e lottano contro le forze che attraggono il loro "centro magnetico". 
Altri dotati di grande cultura e sensibilità desiderano ardentemente quelle  esperienze e finiscono per "immaginare di essere" oppure per sorprendersi della assenza di riscontri. 
La maggior parte degli yogin  fa determinate esperienze senza nulla sapere di corpo psichico, di yoga, di rottura dei livelli dell'io. 
Alcuni sperimentano l'identità sostanziale dell'uno e dei molti. 
uno stato in cui l'ego non ha più nessun significato.
Questa assenza, magari momentanea, del senso di identità indissolubile, base del pensiero occidentale di matrice cristiana, se non supportata da insegnamenti che vengono definiti talvolta "tradizionali" può condurre alla follia o alla presunzione della follia. 
Coloro che hanno sperimentato senza sapere si vedono costretti a cercare le parole per dirlo e si rivolgono a quelle tecniche, a quei libri verso i quali li spinge la loro coscienza/ricordo/sogno. 
Le parole non esprimono mai, perfettamente ciò che si sperimenta, e se sono parole di maestri e istruttori solitamente si rivolgono a quei pochissimi che sono in grado di recepirle.
Così ci si inventa una terminologia per spiegare ciò che in realtà non è possibile spiegare. 
Probabilmente certe frasi, frutto di esperienze reali, di Shankara, di Gaudapada, di Patanjali, di Lao Tse sono dedicate ai quattro, cinque allievi in grado di comprenderle. 
La loro grandezza, il loro, "livello coscienziale" fa sì che tutti noi, leggendo o ascoltando, sentiamo una specie risonanza, pensiamo di capire e comprendere, ma è difficile che tutti noi 1000 e diecimila siamo quei quattro o cinque. Conoscersi.
Comprendere.
Essere.
Cominciamo con il conoscersi. Conosci te stesso dicono tutte le scuole tradizionali, ma conoscere se stessi è come sollevare il mondo. Archimede diceva che bastava un punto d'appoggio per sollevare il mondo. 
Questo punto è il nostro cuore.
Il maestro, il libro, la tecnica sono solo dei cartelli indicatori, degli stimoli.
Il vero lavoro è individuale.
Non bisogna, dicono i testi chassidici, tentare di sollevare il mondo con due punti d'appoggio. Proiettare su un altro o su una disciplina o su un libro la speranza e la volontà di conoscere se stessi provoca dolore e sofferenza.
Un bravo istruttore può insegnarti a fare l'alpinista, non può scalare per te il monte Meru

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