martedì 29 ottobre 2013

IL MITO DELL'INDIVIDUO

Distruzione dell'ego, conflitto tra io, es e super-io, lottare con l'egotismo...  nelle discussioni tra praticanti di yoga e di meditazione non si parla d'altro.
Per alcuni l'ego diventa il male assoluto, altri hanno paura che le pratiche orientali possano minare la loro coscienza individuale, base, a loro dire , della persona.
Presi dalla foga del dibattito ci dimentichiamo che il concetto di individualità inalienabile non è mica tanto vecchio.
Anzi è piuttosto recente.


Non ce ne rendiamo conto perché siamo così attaccati alla "nostra esistenza individuale" da reputare l'attenzione morbosa che dedichiamo al "nostro spazio vitale", alla "nostra realizzazione nel lavoro", alla" nostra salute", alla "nostra persona", una condizione naturale dell'essere umano. 
Si è addirittura inventato il concetto di autostima, che per me è una cosa delirante: in pratica ci sarebbe un rapporto matematico  tra un "io ideale" e un "io percepito", più l'io percepito si avvicina all'io ideale e più sono felice. 
Se si allontana sono infelice.
Si organizzano addirittura dei corsi "per aumentare la propria autostima". 
Ma "siamo fuori"?
Sembra che l'essere umano passi il tempo a costruirsi dei modelli da imitare, dei modelli di comportamento, delle persone ideali cui assomigliare.
E il concetto di autostima è entrato così profondamente nella nostra testa da farci dimenticare che è una roba che non esisteva fino al secolo scorso.


Il concetto di auto-stima è stato inventato dallo psicologo americano Williams James, presidente della Society for Psychical Research dal 1894 al 1895:
lo consideriamo  una verità ontologica, ma è una teoria moderna!
Prima di James gli esseri umani, salvo eccezioni, pensavano a vivere e a far vivere la propria famiglia e la propria comunità, non a crearsi modelli di comportamento.
Leonardo da Vinci disegna bene sin da bambino. I genitori lo mandano a bottega perché sviluppi il suo talento e ne faccia una professione:
non è che si è messo a pensare a Giotto come ad un'io ideale ed ha passato la vita a cercare di assomigliargli!
Credo che occuparsi di Yoga, o di Zen, o di taoismo, senza abbandonare i nostri pregiudizi culturali sia solo uno sterile esercizio della mente, un giochino per tenerci impegnati.
Affrontare i testi di Shankara e Lao Tse o i discorsi di Shakyamuni con gli occhiali della psicologia moderna o della filosofia tedesca del XIX° secolo può essere divertente e gratificante, ma forse è inutile, o addirittura assurdo.
Come andare in montagna con le pinne e la muta da sub.
Non si possono, tradurre i termini sanscriti e cinesi riferiti, che so..., all'energia vitale con le parole di Freud o di Henry James, perché l'universo degli yogin e dei taoisti era "fisico".
Ahamkara, ad esempio, il termine sanscrito che viene tradotto con "egotismo" o "individualità", per gli yogin è una realtà fisica, un organo, o parte di un organo, che ha la funzione di permettere la conoscenza della realtà: tutta la realtà racchiusa tra le vibrazioni A ed Ham, ovvero la prima e l'ultima sillaba dell'alfabeto, rese visibili dal fuoco/luce (Ra) e ricondotte al cuore (Ka, primo petalo del cakra del cuore e prima consonante dell'alfabeto). 
L'universo dello Yoga e del Tao è vibrazione, le energie mentali, le emozioni, i sentimenti si muovono esattamente come le onde del mare, i raggi del sole o il vento d'estate.
Molti di noi si occupano di psicologia  e credono di occuparsi di Yoga. 
Il che non è assolutamente un male, ci mancherebbe, i problemi nascono quando si confondono le due discipline.
Come se non bastasse di questi tempi si tende a chiamare "psicologia" un mucchio di roba pseudoscientifica, che sta Freud e Jung come la gassosa allo champagne.
Roba pericolosa, da affrontare con le scarpe rinforzate e i mutandoni della nonna....


Ma torniamo al "mito dell'individualità inalienabile".
Il concetto di individuo come persona umana è concetto moderno appartenente alla teologia, alla filosofia e alla giurisprudenza occidentali.
Nella nostra costituzione si parla chiaramente di sviluppo delle possibilità creative e produttive della persona umana.
L'uso dell'aggettivo qualitativo "umana" sta ad indicare la differenza che i legislatori riconoscevano tra Persona Umana e Persona Divina.

La Persona Umana è l'individuo, Paolo, Andrea, Roberta.
La Persona Divina è il Cristo.
Con il mutamento dell'organizzazione sociale, nel XVIII° secolo, la comunità è diventata "Società di Individui".

E' John Locke il primo a parlare compiutamente di Personal Identity e siamo nel 1694.



Prima di allora il concetto di individuo non esisteva.

Il Re non era un individuo, il Papa non era un individuo, e le famiglie erano organizzate in maniera diversa da oggi.
Possiamo intuirlo grazie alla sopravvivenza di alcune consuetudini:
io mi chiamo Paolo perché mio nonno si chiamava Paolo e suo nonno si chiamava Paolo.
Il sapere familiare si trasmetteva da nonno a nipote permettendo l'alternarsi di cicli di "conoscenza" rappresentati dalle generazioni.
Non c'era nessuna differenza tra i vari Paolo della famiglia.
Si trattava dello stesso "ente".

E' per questo, probabilmente, che nella bibbia i vari Matusalemme e Noè vivono per secoli e secoli.
Il nome rappresentava qualcosa di più dell'individuo, e durava ben oltre i 40-50 anni di vita media di allora.

Con il pensiero filosofico e teologico legato al passaggio dal regime feudale alla società borghese si è applicato al singolo elemento della comunità lo stesso principio che si applicava prima al Cristo o, nella Grecia presocratica, ad Orfeo.




Il Cristianesimo in occidente si basa sulla "Trinitarietà":

Gesù è Persona Umana.
Cristo è Persona Divina.
Dio è l'Assoluto.
Allo stesso modo per gli orfici:
Orfeo era Persona Umana.
Dioniso era Persona Divina.
Zeus era l'Assoluto
.

Per individuo o persona umana si intende oggi un essere razionale dotato di coscienza di sé e in possesso di una propria identità.
Una definizione non soddisfacente.
E se uno sviene e perde conoscenza (ovvero non è più cosciente) non è più una persona?
E se uno è scemo e non agisce razionalmente non è una persona?

Si è arrivati a definire l'individuo tramite un qualcosa di spirituale che lo anima e caratterizza al di là della dimostrazione di razionalità e coscienza di Sé.
Nella Filosofia Orientale  non c'è niente del genere, o meglio c'è, ma è collegato ad una "alterazione percettiva" dovuta all'ignoranza. 
Per questo che non riusciamo a capire come mai per Patanjali (yoga sutra) अस्मिता asmitā (egotismo, individualità, egoismo) sia contemporaneamente indicata come  causa di sofferenza (क्लेश kleśa) e come il più alto stato coscienziale raggiungibile con la pratica yogica, il samadhi sasmitā.
L'individualità, l'ego, nello yoga non esistono.
Le catene di insegnamento, i "lignaggi" sono la negazione dell'individualità:
 Shankara è Govinda, Gaudapada, Patanjali.... Shiva.
KrishnaVyasaRama "sono"Vishnu.




L'identità individuale, per lo yoga, il taoismo o lo zen, è solo un costume di scena, una maschera di cartapesta che cela il volto della Persona.
Se non prendiamo coscienza della differenza tra ciò che "è" e ciò che è causato, in noi, dalle sovrapposizioni culturali difficilmente potremmo comprendere la portata degli insegnamenti di Shankara, Buddha o Lao Tse.
Ciò che ci sembra connaturato alla nostra stessa esistenza, come il concetto di identità individuale inalienabile, è spesso frutto di teorie psicologiche e di  discussioni tra intellettuali.
Discussioni fatte tra menti acutissime, per carità, e teorie che hanno prodotto cambiamenti radicali nella società moderna, ma non si deve credere che questi concetti esposti da menti così raffinate, siano parte della nostra natura.
Il concetto di identità individuale, che ha condotto a notevoli progressi dal punto di vista sociale, ha finito per alimentare l'egotismo e la ricerca di piaceri e beni materiali.
La piccola volpe che si fa rincorrere e sbranare dai segugi per salvare la vita ai propri cuccioli non ha il senso dell'identità.
Segue la legge naturale.

Quanti sarebbero pronti a sacrificare la propria vita , oggi, per la propria famiglia o i propri figli? 
Chi lo fa viene chiamato o eroe o pazzo.
Un tempo era cosa naturale.

Il cercare di armonizzare una filosofia non duale con il concetto di identità individuale è impresa improba.
Di solito confondiamo la realizzazione con con l'auto-soddisfazione.
Cerchiamo la realizzazione dell'ego e parliamo di realizzazione dell'Assoluto, finendo per confondere la soddisfazione dei nostri desideri, il nostro "sentirsi bene o a nostro agio", l'accrescersi della nostra "autostima" con il progresso (?) spirituale.

L'uso frequente della parola umiltà che si fa nelle sale conferenze, nei forum filosofici, nelle classi di yoga ne è la riprova.
Affermare -"Io sono umile"- o -"Tu devi essere più umile"-  di vista dello yoga è una contraddizione in termini.

L'umiltà è una colorazione dell'ego.
Se Kashyapa si inginocchia di fronte alle parole di Buddha  non lo fa per umiltà, lo fa perché si tratta di un naturale riconoscimento.

Sensei Akira Matsui, un attore di teatro Noh, diceva spesso che sapersi inginocchiare in seiza posando per tre volte la fronte a terra è cosa assai difficile per i praticanti non esperti.


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