mercoledì 30 ottobre 2013

EROS DIVINO

Essere è conoscenza, e conoscenza è, assieme, la causa del conoscere, è l'atto del conoscere ed è il frutto del conoscere. Conoscenza è il conoscitore e conoscenza è il conosciuto.
Il resto è solo "rappresentazione". 
Esiste solo l'Essere/presenza.
Per il Vedanta di Shankara, il testimone dell'esistenza, che è conoscenza stessa, si pensa diviso in interno ed esterno.
Come se la schiuma del mare (ἀφρός) fosse esterna al mare.
La conoscenza si scinde, illusoriamente in Aham ed Idam, in IO e QUESTO,
ma entrambi sono "schiuma dell'oceano":
Aham potrebbe essere collegato a ciò che in occidente viene detta Afrodite urania e Idam a ciò che viene detta Afrodite pandemos.




Eros (il Kama indiano) è figlio di Afrodite e visto che ci sono due "Afroditi" possiamo supporre due diversi Eros, due diverse vie della conoscenza, una che possiamo definire esteriore (IDAM) o Eros Mondano, ed una interiore (AHAM)o Eros Divino.
I sensi sono gli organi del Conoscere e vengono simboleggiati dalle frecce di Eros.l'arciere,  che sarà quindi la conoscenza stessa.
Il Conoscitore è Eros, il Conosciuto la manifestazione, l'atto del conoscere la rappresentazione della realtà dataci dai sensi e dalla mente.
Nel "Mito della Caverna", Platone descrive, dei personaggi che si frappongono tra gli uomini e la sorgente di luce.
Sono attori che, come nel teatro delle ombre, creano uno spettacolo ad uso degli uomini incatenati
Chi sono questi tizi che si pongono a metà tra la luce del sole e la visione del mondo umano?
Come nelle ombre cinesi un sapiente movimento delle dita sembra creare ora un coniglio, ora un serpente, ora una farfalla, così quegli attori creano la rappresentazione della realtà di veglia.
Ma il coniglio, il serpente e la farfalla nascono solo nell'immaginazione dello spettatore.
Gli attori sono l'idea del coniglio, l'idea del serpente,l'idea della farfalla.
Gli attori sono Dei. 
Il dito che indica la luna non è la luna, si usa dire.
Ma se non ci fosse il sole che illumina la luna e di riflesso, il dito non si avrebbe nè la percezione del dito né quella della luna.



Scrive Giovanni della Croce (Juan de Yepes Álvarez):

1. In una notte oscura,
con ansie, d’amor infiammata,
oh, felice ventura!,
uscii, senza esser notata,
stando la casa mia già acquietata.

2. Al buio e sicura,
per la segreta scala, mascherata,
oh, felice ventura!,
al buio e celata,
stando la casa mia già acquietata.

3. Nella notte felice,
in segreto, senza esser veduta,
senza veder cosa,
senza altra luce o guida
fuor quella che in cuor bruciava

4. Questa mi conduceva,
più certa della luce meridiana,
là dove mi aspettava
quello che ben sapevo,
là dove nessuno si vedeva.

5. Oh, notte che guidasti,
oh, notte più che dell’alba amabile!
O notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!

6. Sul mio petto fiorito,
che solo per lui intatto era serbato,
là si posò addormentato
ed io lo accarezzavo,
e la chioma dei cedri lo sfiorava.

7. La brezza di alte torri,
mentre i suoi capelli scioglievo,
con la sua mano leggera
il collo mio feriva
e ogni senso mi rapiva.

8. Dimentica di me ivi rimasi
il volto reclinato sull’Amato,
tutto cessò e mi staccai da me,
tra i gigli abbandonati i miei pensieri.





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