lunedì 28 ottobre 2013

DUALE E NON DUALE



In sanscrito esiste un concetto di male chiamato पाप pāpa ed esiste un concetto di bene chiamato पुण्य puṇya.
Percorrendo il sentiero diretto o Pravṛtti il male, पाप pāpa, sarà tutto ciò che si oppone all'adempimento del nostro dharma ed all'ottenimento degli strumenti (अर्थ artha ) che ci permettono di soddisfare i nostri desideri (काम kāma).





Percorrendo il sentiero inverso, la via di ritorno o Nivṛtti, si è invece sulla via di rinuncia.

Il sentimento di Pietà nei confronti degli altri che assume una connotazione positiva nel sentiero diretto (pravṛtti) rappresenterà invece un problema per chi percorre la via a ritroso.
Per questo motivo alcuni shakta o alcuni advaitin vengono giudicati dagli altri insensibili, immorali (meglio sarebbe dire A-morali) o addirittura, falsi maestri. Argomento delicato...prendiamola alla lontana:
tra coloro che si interessano di advaita, si sente parlare spesso di वासना vāsanā  (termine che indica sia impressioni inconsce sia un particolare metro poetico) e  di मनस् manas (mente) in termini negativi.
Questo porta a vedere nel manas qualcosa che ha a che vedere con il demonio e nelle vāsanā qualcosa che riguarda la tendenza al vizio o al peccato.
Si tratta un errore dato dall'approccio ad una filosofia non duale da parte di chi  ha una comprensione della realtà, dovuta a cultura e tendenze personali,  dualista, ovvero basata sulla contrapposizione bene-male, luce-ombra ecc..
Vāsanā, che potremmo rendere con idea, è tutta la conoscenza che nasce dalla memoria, mentre manas è semplicemente la mente percettiva, 
Non hanno né possono avere nessuna connotazione positiva né negativa perché sono strumenti.

L'emozione che proviamo la prima volta che osserviamo il sorriso di un bimbo o la prima volta che baciamo una donna (o un uomo) è frutto del manas (nel senso che deriva da una percezione) e di vāsanā (nel senso che se non avessimo dentro di noi l'idea di quel sorriso e di quel primo bacio non potremmo goderne).
Il nostro stesso essere costituiti da mani, piedi, tronco testa, occhi, bocca orecchie è frutto di vāsanā.
Se poi non ci fosse il manas non avremmo nessuna possibilità di percepire e quindi di discriminare tra bene e male e tra giusto e sbagliato.
Le vāsanā si devono consumare sulla via del ritorno, quando si è già portato a compimento il nostro karma-dharma, ed anche qui non devono avere una connotazione negativa, ma devono essere viste come impedimenti, una zavorra che ha perso progressivamente la sua funzione fino a rivelarsi inutile.
La roccia che impedisce all'acqua della sorgente di fluire, non è il male né il bene.

È solo una roccia, definirla male significa ragionare in termini duali.
L'affrontare l'advaita vedanta con una comprensione della realtà duale genera confusione e scatena  furiose e inutili discussioni tra praticanti di yoga e aspiranti filosofi.
Si arriva all'assurdo di vedere l'advaita vedanta in termini positivi e altre tecniche o pratiche o punti di vista in termini negativi o comunque inferiori.
Come se potesse esserci una guerra di religione o una disputa tra uno shakta ed un advaitin!
Shankara è uno shakta, un adoratore della Dea. 

Ognuno dei centri (math) da lui fondati è consacrato ad una forma della Dea e i suoi versi dedicati alla Dea sono tra i più belli della letteratura indiana.
Eppure nascono continuamente delle dispute. 
Il motivo è di ricercarsi nella difficoltà di molti a riconoscere il proprio livello coscienziale. 

Advaita è un livello, uno stato di coscienza, corrispondente allo Yogachara. 
Si deve aver praticato molto e bene, essere riusciti a trasformare la mente, a renderla "informale" con la pratica del samadhi: non si può scegliere di essere advaita, magari perché suggestionati dalla lettura di un libro o dall'ascolto di una conferenza.
Per motivi che ignoro in molti praticanti o semplici lettori di testi filosofici nasce il desiderio di essere advaita, quasi fosse la casacca di un club calcistico o un partito politico. 
E' una sciocchezza. L'unica via possibile nello yoga è quella di conoscere se stessi utilizzando i tre strumenti che la Natura ci ha messo a disposizione: CORPO, PAROLA e MENTE. ed occorre aver cura di tutti e tre, tenerli in ordine e lucidarli, così come l'artigiano e l'artista fanno con mazze, scalpelli, pennelli o chiavi inglesi. dalla conoscenza di sè insorge la conoscenza dell'universo. le etichette vanno bene nei supermercati, non nella pratica dello Yoga.

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